Legge elettorale Qualcuno è bravo – si fa per dire – a cambiare le carte in tavola. A sentire certi interventi risentiti pare che la Corte costituzionale si sia presa la briga di proporre-imporre artatamente una nuova legge elettorale, dichiarando incostituzionali pezzi del Porcellum. Come se non si sapesse che una sentenza della suprema Corte era nell’aria e, quindi, bisognava affrettarsi a legiferare per cambiare quella che lo stesso promotore definì una “porcata”. Lo scaricabarile, nella situazione in cui si trova il nostro Paese, è delegittimante per tutte le istituzioni democratiche. E gridare ai quattro venti slogan populistici “pro domo sua”, serve a contribuire al distacco irreversibile tra la politica e la gente. E chi s’illude che, così facendo, riuscirà a “demolire per ricostruire”, se è in buona fede, è da ricovero psichiatrico.
I dati dell’ultimo rapporto Censis parlano chiaro: il 56 per cento degli italiani non ha attivato alcun tipo di coinvolgimento politico negli ultimi anni. Un distacco, per usare un eufemismo, che non porterà niente di buono. Ma i dati del Censis fanno una fotografia di declino da paura per la nostra Italia. Il tasso di disoccupazione dal 2008 ad oggi è raddoppiato: dal 6,7 per cento siamo passati al 12 per cento. Il dato si chiarisce, incupendosi, se si tirano in campo i numeri dei sottoccupati – delle false partite IVA, dei contratti a termine, ecc. -, parliamo del 25,9 per cento, più o meno tre milioni di persone. Si capisce, allora, che le speranze di occupazione si spostano all’estero. Nel 2002 la fuga dai confini nazionali contava 50 mila persone, soprattutto giovani. Oggi parliamo di 106 mila, dati 2012. In alcune realtà sensibili ai fenomeni malavitosi (camorra, ‘ndrangheta, mafia) l’andata via di tanti giovani significa la perdita degli anticorpi naturali per combattere tali accidenti: la scomparsa dell’aspettativa di cambiamento. Questi tre elementi – antipolitica, disoccupazione, fuga all’estero – dovrebbero essere le linee guida di qualsiasi forza politica. Tutti dovrebbero imporsi ricette praticabili, alleanze comprese, per ridurre progressivamente i numeri del declino. Anche le riforme tante volte annunciate non possono non muoversi su questo spartito, che deve essere però finalmente suonato.
L’otto dicembre, ricorrenza dell’Immacolata Concezione, è stata anche la festa del rinnovamento nel Pd. Matteo Renzi, secondo le previsioni, è stato eletto segretario dei democratici. Ma i sondaggi della vigilia non prevedevano un così alto afflusso di votanti – si sono superati i due milioni -, né dati schiaccianti del sindaco di Firenze sui suoi avversari. Un più 68 per cento per Renzi, mentre Cuperlo porta a casa uno striminzito 18 per cento e Civati il 14 per cento. Archiviata la bella vittoria adesso per il sindaco di Firenze la strada è tutta in salita. E’ nel ruolo che si vedono le capacità dei leader. Da candidato Matteo Renzi è stato ineguagliabile, e i dati si sono visti. Una volta però indossato il vestito del capo del Pd, dovrà governare sia il partito ma anche il Paese, tenuto conto che al governo c’è Enrico Letta. Certo, le divergenze tra i due non mancano, ma il problema, appunto, sarà che patto di “stabilità e lealtà” sottoscriveranno i due. Renzi nella sua vittoriosa campagna elettorale ha parlato molto di riforme per avvicinare la gente alla politica. La prima riforma obbligatoria ed immediata che si presenta è quella del Porcellum. Nel suo intervento da segretario eletto Renzi non si sottrae alla problematica dichiarando: “Le primarie del Pd hanno deciso che si cambia verso e da domani il Pd metterà tutto il proprio onore a servizio della difesa del bipolarismo e abbattere i costi della politica con un disegno di legge costituzionale”. Con l’attuale governo, che una volta era delle larghe intese e che oggi è d’intese certo più ristrette, non sarà facile imboccare la strada delle riforme costituzionali. Già varare una legge elettorale a difesa del bipolarismo sarà un’impresa ardua. Poi c’è l’economia che non può essere domata o indirizzata con frasi ad effetto. C’è bisogno di un disegno non velleitario per far scendere quei numeri sulla disoccupazione che il Censis ha fotografato. C’è allora la necessità, appunto, di un patto di “stabilità e lealtà” tra Renzi e Letta – ma anche con Angelino Alfano -, per riscrivere un programma di governo che centri alcune priorità immediate e rimandi tutto a dopo le elezioni del 2015. Se il segretario del partito e il presidente del Consiglio lavoreranno in questo modo, molte cose concrete verranno fatte per il Paese. Se, come già è capitato, il braccio di ferro tra i due sarà continuo, tutto andrà a vantaggio degli avversari e sarà impossibile qualsiasi iniziativa di cambiamento.
In futuro, forse, la fine del 2013 potrà essere ricordata come il periodo dei grandi e veri cambiamenti. Il Pd, il partito tra i più strutturati – con una nomenclatura solida ed un apparato mitico nella sua efficienza -, volta completamente pagina con l’elezione di un segretario “esterno” e “anomalo”. Il Pdl, blocco granitico sotto la guida del Cav. Silvio Berlusconi, si divide in due tronconi: Forza Italia e Nuovo centrodestra. Angelino Alfano, da eterno pupillo designato, assume l’incarico di segretario della nuova forza politica. Enrico Letta, presidente del Consiglio riesce ad ottenere consensi non di poco conto in campo internazionale e resta in sella al di là di siluri che gli vengono lanciati da tutte le parti. Insomma, la geografia del potere sta cambiando, speriamo che porterà migliori risultati al Paese. Mercoledì il passaggio di Letta in Parlamento per il rilancio del suo esecutivo. Da quel discorso si potrà capire se veramente il “nuovo” avanza.
di Elia Fiorillo