non c'è libertà senza passione!

di Elia Fiorillo

 

Se fosse stato possibile chiedergli un parere sulla sua beatificazione accelerata, sicuramente avrebbe detto di no. Che non era il caso che fosse elevato agli onori degli altari, lui umile prete che aveva avuto la ventura di diventare Vescovo di Roma, “servo dei servi di Dio”. Sarebbe stato più giusto ed opportuno, avrebbe detto Karol Wojtyla, Papa Giovanni Paolo II,  promuovere i suoi predecessori di cui indegnamente aveva assunto i nomi: Giovanni XXIII e Paolo VI. Il primo, già da tempo doveva essere proclamato Santo per via dei miracoli che aveva al suo attivo,  più di quelli  necessari per la santificazione. “Giovanni XXIII – come Wojtyla lo definì il giorno della beatificazione avvenuta il 3 settembre 2000 -, il Papa che colpì il mondo per l’affabilità del tratto, da cui traspariva la singolare bontà dell’animo”. Ma anche il secondo, Montini,  aveva tutti i requisiti per diventar Beato. E certo Karol avrebbe scherzato, schernendosi, che di una raccomandazione per una scorciatoia verso gli altari  lui proprio non ne aveva bisogno.

 

            Il nome di Giovanni Paolo lo aveva ereditato dal suo predecessore, Albino Luciani, morto solo trentatré giorni dopo l’elezione a Sommo pontefice. Era quasi un atto dovuto scegliere quel nome. Ma i legami che lo legavano sia a Giovanni XXIII che a Paolo VI erano profondi. Papa Roncalli, con la convocazione del Concilio ecumenico Vaticano II, diede a Wojtyla la possibilità di trattare in Concilio le tematiche a lui care della libertà religiosa e della dignità della persona. Un contributo notevole portò alla Costituzione pastorale “Gaudium et spes”. Papa Montini fu colui che lo nominò cardinale nel 1967. E forse si deve a Papa Paolo VI – strumento inconscio dello Spirito Santo – se “tecnicamente” Karol la spuntò nel Conclave che vedeva in contrapposizione l’arcivescovo di Genova, Siri, con quello di Firenze, Benelli. Una lotta come al solito tutta italiana che però si concluse in un modo inaspettato, assolutamente non previsto. Dopo quasi quattrocento anni  veniva eletto un Papa non italiano. All’”Habesum papam” il nome Karol risuonò in piazza San Pietro e prese alla sprovvista le centinaia di giornalisti che seguivano il Conclave. Nessuno aveva la biografia del neo eletto perché era assolutamente non papabile, ovviamente nelle previsioni poi smentite dai fatti.

 

            Che c’entra allora Paolo VI con l’elezione del Papa polacco? Certo, gl’impose la berretta cardinalizia. Fu però Giovanni Battista Montini il Papa che rivoluzionò dall’interno la Chiesa. Con il suo “motu proprio”, “Ingravescentem aetatem” del 1970, mandò in pensione i parroci ed i vescovi al compimento del settantacinquesimo anno d’età. E così fece anche per i cardinali di Santa Romana Chiesa pensionandoli però ad ottant’anni ed escludendoli dal Conclave. Con la Costituzione apostolica “Romano Petri eligendo”, del 1975, stabilì poi che il Sacro Collegio per l’elezione del Papa fosse formato da 120 cardinali. Pare che per soli due voti il Cardinale polacco l’abbia spuntata sul suo avversario. Sarà questa una fandonia, tenuto anche conto del giuramento alla segretezza che i grandi elettori fanno prima di procedere alle votazioni, ma la riduzione del Sacro Collegio avrà certo favorito l’avvento di un  “Papa straniero”.

 

            In una piazza San Pietro stracolma di donne ed uomini provenienti da tutte le parti del globo terrestre, Papa Benedetto XVI, il Papa tedesco,  ha proclamato Beato il suo predecessore definendolo un gigante. Un gigante della fede, dell’amore, della comprensione, dell’umiltà.  In ventisette anni di pontificato il Papa dei giovani, il globetrotter della fede, della speranza e della carità, ha compiuto più di duecento viaggi in Italia e centoquattro nel resto del mondo. Le sue encicliche sociali – Laborem exercens 1981, Sollecitudo rei socialis 1987, Centesimus annus 1994- restano insegnamenti preziosi, non solo per i credenti, ma per l’umanità tutta. Un Papa laico? Diciamo un Papa che avendo vissuto in prima persona i soprusi, la fatica del lavoro, la mancanza di democrazia, il dramma della guerra, ha saputo capire ed interpretare le ragioni degli altri; anche dei non credenti.

             Al di là del miracolo accertato che lo ha portato agli onori degli altari, forse il prodigio più grande da lui compiuto è stato quello di avvicinare a se il mondo laico. Lo ha fatto ragionando sui problemi, facendoli suoi, mai alzando barriere o pronunciando dogmi. Le iniziative sulla pace nel mondo, la non facile richiesta di perdono fatta ai non credenti per le sofferenze inflitte dalla Chiesa, sono pietre miliari del suo lungo pontificato.

             Era il 27 marzo del 2005, giorno di Pasqua, quando Karol Wojtyla s’affacciò dal suo studio per la consueta benedizione Urbi et orbi. Voleva parlare, dire il suo pensiero ai tanti fedeli presenti in piazza San Pietro. Gli accostarono un microfono alla bocca. Il suo viso sofferente si contorse in una smorfia di dolore, le sue labbra volevano parlare, dire. Non ci riuscì. Fece un cenno con la mano tremante e lasciò la finestra. Era l’ultimo saluto del Papa ai suoi fedeli. Morì qualche giorno dopo, il 2 aprile 2005, “in odor di santità”.