non c'è libertà senza passione!

di Elia Fiorillo

Bella partita. La conclusione è “pari e patta”. Si, è vero che ha vinto Bersani, ma per alcuni motivi che proverò ad elencare, per me c’è un pari che lascia ben sperare nel rinnovamento. Bersani aveva tutti gli strumenti del “potere” per evitare lo scontro vero con il sindaco di Firenze. Il giovane che prova ad entrare nel tempio con un randello senza rispetto per i santi venerati. Botte da orbi che fanno effetto però. Quando si raggiungono le vette dell’insopportazione non si va per il sottile, la parola d’ordine è cambiare e basta. Ed il giovane Renzi riesce a cogliere ed interpretare la voglia di mutamento che c’è non solo nella società italiana, ma anche nella base del Pd e, significativamente, nelle realtà più rosse del partito. Si attrezza e va all’attacco con il famoso efficace, ma antipatico, slogan sulla rottamazione. Diventa il Grillo parlante dei mal di pancia del Pd.

Bersani è un romagnolo pragmatico, nonché politico fine che non crede ai tanti dogmi di fede di cui è ancora pieno il suo partito, retaggio di ideologie passate. Aveva due forni in cui scegliere d’entrare per gareggiare alle primarie. Quello dell’”apparato”, utilizzato dai precedenti candidati – e da lui stesso in passato -, che porta non alla guerra guerreggiata con gli avversari, ma all’autocelebrazione. Il “conducator” che stravince senza combattere. L’altro forno è quello del confronto senza rete con gli avversari, ma soprattutto con gli elettori del Pd. C’è poco da scherzare, se si sceglie questa via il rischio di uscirne “cotto e biscottato” è alto, tenuto conto anche dei due principali avversari, l’affabulatore acchiappa tutto Vendola e il carrozziere rottamatore Renzi. Ha scelto il secondo forno Bersani, puntando veramente sul rinnovamento. Con questa operazione, in caso di vittoria, il segretario del Pd si sarebbe affrancato anche da chi lo volle al posto di Dario Franceschini come segretario del Partito. L’anima pesante e determinante del Pd rappresentata, tra gli altri, da Massimo Dalema. Ma la vittoria di Bersani avrebbe significato anche la fine degli effetti di quella che fu la “fusione fredda” nella nascita appunto del Partito democratico. Addio al manuale Cencelli nella ripartizione delle cariche in base alle ex appartenenze. Soprattutto primato della politica sulla burocrazia organizzativa del partito, vera anima “rossa” condizionante e vincente su tutto.

Che succederà adesso? Bersani è il nuovo candidato presidente del Consiglio del Pd, ma gli rimane la responsabilità non facile di riorganizzare il partito perché adesso non può fermarsi come se niente fosse accaduto. Un partito che non può non tener conto del risultato elettorale di Renzi. Non a caso alcuni personaggi di peso del Partito democratico, nel caso della vincita alle primarie di Matteo Renzi, avevano ipotizzato una frattura, una vera e propria scissione. Renzi ai fini formali non ha vinto, ma ha avuto il merito di avvicinare il partito alla gente e non è cosa di poco conto.

Ci vorrebbe a questo punto un “colpo di teatro” che solo Pierluigi Bersani oggi può permettersi. L’effetto “rinnovamento”, chiaramente uscito fuori dal confronto delle primarie, dovrebbe essere santificato dalla convocazione degli Stati generali del partito. Non il solito rito però, dove già tutto è deciso e codificato dai notabili e serve solo la “sceneggiata napoletana” per una questione d’immagine democratica. Pensate all’effetto dirompente sull’opinione pubblica, non solo di centro-sinistra, se si potesse decidere in questa ipotetica assemblea che se Bersani va a Palazzo Chigi, il suo posto al partito lo prende chi ha ottenuto più consensi dopo di lui, cioè Renzi. L’idea del Capo unico che tutto decide e tutto può è logora. Un esempio in tal senso viene dal Pdl. Forse si dovrà ritornare a ragionare su ruoli distinti tra presidente del Consiglio e segretario del partito.

Molto probabilmente non ci saranno gli Stati generali del Partito democratico e Renzi non diventerà il suo segretario. Ma il Pd corre un serio rischio. Dopo aver acceso più che una scintilla sull’altare del rinnovamento politico, non può più fermarsi. Non può, nei fatti, sostenere che le primarie erano solo una competizione elettorale molto ben riuscita, che però il Partito ha le sue regole, ecc, ecc. Insomma, la gente ha creduto nel cambiamento, nella necessità della politica e dei partiti, nel fatto che cambiare si può. Bisogna essere conseguenti.