di Rosanna Falco
Antonio, nato a Tricase il 20 ottobre 1957, sposato con Assunta e padre di Annalisa, è l’ultimo italiano rimasto ad abbassare ed alzare a mano la sbarra al passaggio a livello di Tricase (in provincia di Lecce), ma è anche un pittore geniale. Lo squillo del telefono è il segnale che il treno sta per passare. Antonio Rocco D’Aversa, in arte Puccetto, pugliese, casellante della fermata 34 Tutino-Tricase delle ferrovie Sud Est, ha raggiunto in ambito artistico livelli di fama internazionale. Per ammazzare il tempo scrive poesie e dipinge quadri pieni di energia, come la sua terra. Si considera semplicemente un “imbratta tele” anche se ci sono stati professori universitari, critici, che lo hanno considerato un artista. Gli parlavano del cubismo, del Kandinskij, ma Puccetto non conosce le scuole pittoriche degli ultimi decenni. Come lui stesso afferma “c’ha la terza elementare e non sa niente di tutte queste cose qua”. E’ un artista istintivo, dal passato difficile che ha trovato la sua libertà ai bordi di un binario. Non accetta compromessi, sfugge gallerie e mercanti perché ha il timore di perdere la sua spontaneità. Un noto critico d’arte gli chiese chi lo curasse in senso artistico non medico, ma lui non capì. Lo chiamano il Pollock del Salento. Molti critici infatti lo hanno accostato a Jackson Pollock, l’inventore del dripping e simbolo dell’action painting, ma Puccetto non sa niente di lui e dell’arte moderna e ha bisogno solo di buttare vernice su un pezzo di stoffa. Il modo di dipingere di Pollock è il Drip painting, uno stile che si diffuse tra gli anni ’40 e ’60 del Novecento, che letteralmente significa pittura d’azione e a volte chiamata anche espressionismo astratto. E’ un modo di dipingere in cui il colore viene fatto sgocciolare spontaneamente, lanciato o macchiato sulle tele. Pollock compie l’opera con gesti spontanei, come i surrealisti. I suoi lavori non nascono come “arte studiata”, ma in parte si affidano anche al caso, dipinge in modo impulsivo, proprio come fa Puccetto. Antonio ha iniziato a buttar colore, di qualsiasi natura e consistenza, su vecchie lenzuola, utilizzando le mani. I suoi quadri sono dipinti con le dita che colano, sente la pittura come un istinto primordiale, una liberazione. Un continuo approcciarsi a sé e alla pittura attraverso gli istanti della vita, trasformando i codici della sua esistenza in un fluire di colori, gli “spruzzi dell’anima”.
Segue una delle sue poesie:
La mia pelle è una terra
il mio corpo un sentiero senza destino
la mia vita è un errore
la mia mano una radice disposta sull’orizzonte
l’odio è una bocca piena di sabbia
la mia pelle rubata al tempo
nel pozzo profondo esistono immagini e
un grido che nessuno ascolta
lo sono affascinato dal pozzo poiché è là che
le mie grida mi abbandonano
il mio corpo è blu e non riflesso di luce
lo sono un secolo di silenzio e di argilla
un campo tracciato dalla notte
il mio corpo è un incendio.
Una dimostrazione vivente che il linguaggio artistico è parte integrante e inscindibile della natura umana.