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di Rosanna Falco

ILVA di TarantoL’Ilva è una delle maggiori aziende siderurgiche italiane del secolo XX, un mostro dell’acciaio grande quanto due volte e mezzo Taranto. All’Ilva si producono milioni di tonnellate di acciaio all’anno. Un’industria che dà lavoro a dodicimila persone. Il primo mattone di questo polo siderurgico fu posto nel 1961, allora era proprietà dello Stato e si chiamava Italsider. Con la privatizzazione del 1995 il complesso è passato nelle mani del Gruppo Riva. Da allora ha continuato a produrre a cifre record e anche ad inquinare: veleni e polveri minerali che hanno coperto i quartieri più vicini alla fabbrica. La zona più inquinata è quella in prossimità del quartiere di Tamburi, dove alcune zone sono state bandite ai giochi perché contaminate da metalli pesanti. “L’Ilva va fermata”, dice la magistratura. Sul tavolo della procura di Taranto arrivano due ricerche, una chimica, l’altra epidemiologica.

Dicono che l’Ilva fa ammalare, uccide. Il 26 luglio il gip (giudice per le indagini preliminari) di Taranto Patrizia Todisco dispone il sequestro dell’intera area dello stabilimento siderurgico. Emilio Riva, il figlio Nicola e altri sei dirigenti finiscono agli arresti domiciliari, accusati di disastro ambientale. Provvedimenti che scatenano la rabbia di chi in quegli altiforni vede l’unica fonte di sopravvivenza: più di cinquemila operai scendono in strada. La protesta arriva fin sulla torre dell’altoforno 5 e del camino E312, messo sotto accusa per i suoi veleni. Il ministro dell’ambiente Corrado Clini sostiene che l’Ilva non debba essere chiusa, ma che sia necessaria e urgente una bonifica ambientale. Quello della sanità, Balduzzi, lancia l’allarme salute. In base allo studio Sentieri del Ministero a Taranto ci si ammala il 30% in più di tumore rispetto al resto della Puglia. La procura di Taranto non si arresta: un piano per il risanamento è in attesa di approvazione, ma intanto l’Ilva minaccia la cassa integrazione per duemila operai. La battaglia continua, tra chi difende il lavoro e chi la salute. Almeno due-tre persone al mese, infatti, muoiono per gli effetti delle emissioni industriali. Ma sono soprattutto i dati sui tumori infantili a far rabbrividire; la mortalità nei primi anni di vita è del 20% più alta. Colpa dei veleni respirati, della contaminata catena alimentare, della carne, del latte e del pesce alla diossina. L’Ilva sta cancellando intere famiglie. O si muore di tumore o si muore di fame.

Il 30 novembre è stato approvato il Decreto “Salva Ilva”, che garantirà la produzione e il risanamento. Un Decreto dal Presidente del consiglio Mario Monti definito “salva ambiente, salute e lavoro”. Intanto gli abitanti delle aree più inquinate si trovano di fronte ad un bivio, barcollano come acrobati sull’esile filo della vita, facilmente reciso dai veleni emessi dalla fabbrica omicida. Ad azionare questo gigantesco stabilimento sono gli uomini e sono gli uomini ad ammalarsi e, in casi estremi, a morire. Homo homini lupus (letteralmente “l’uomo è un lupo per l’uomo”)? Un sintagma ripreso dal mondo classico, poi utilizzato per sottolineare la malvagità e la malizia dell’uomo, una palese rappresentazione dell’egoismo umano.