non c'è libertà senza passione!

di  Elia Fiorillo

Su certe cose non era possibile, né consigliabile scherzare. Se lo facevi correvi grossi pericoli, perché il sacro, allora, era sacro e non c’erano vie di mezzo, sfumature. La seriosità più che serietà era l’emblema impossibile da abbassare. Come pure la faccia pareva si compenetrasse di tutti i mali del mondo e, quindi, non poteva che essere sempre incavolata, per non usare un altro termine ben più determinato ed efficace. Mai un sorriso su quei volti da tregenda, persi in pensieri lontani, in cose alte. L’ispirazione era tanto su che si camminava come in trance, non salutando nessuno, perché non si vedeva che nei propri pensieri. Erano i tempi della “Rivoluzione”, della lotta di classe, dove ogni riunione, assemblea studentesca o sindacale cominciava con lo speaker che pronunciava la frase fatidica d’apertura: “cari compagni”. Tutto rigorosamente al maschile. Solo qualche tempo dopo s’aggiunsero ai “cari compagni” anche “le compagne”. Eppoi, credo con l’ipotesi dell’unità sindacale, comunque con il patto d’azione tra Cgil, Cisl, Uil, venne fuori il più mediato:”cari amici e compagni” che ci siamo portati fino ai nostri giorni. E se ti azzardavi a quei tempi, un po’ scherzosamente, ma fino ad un certo punto, ad iniziare il tuo intervento con un ecumenico “cari fratelli”, per metterti sopra le parti, i rischi di sommovimenti nell’assemblea erano assicurati. Il termine “amico” veniva usato dai “rossi” come discriminante ideologica. I compagni erano per la Rivoluzione, per l’Internazionale. Gli amici…, gente incolore che faceva confusione e che non aveva trovato ancora la propria identità: la strada giusta ed unica. C’erano poi i “camerati”, i fascisti, persone da disprezzare in tutti i modi possibili. Nessuna misericordia per soggetti di quella specie, né alcuna possibilità di confronto o dialogo. Per loro, se non proprio la morte fisica, certo quella sociale. Ai tavoli di trattativa sindacale era tassativamente vietato sedersi insieme a quelli della Cisnal, il sindacato fascista.

         Dietro gli appellativi c’era ben altro. C’era una visione del sindacato, della società, dello Stato ben diversa e definita, a volte totalmente contrastante. C’era l’America e la Russia; la libertà ed il totalitarismo. C’erano i partiti di riferimento. La Democrazia Cristiana per gli amici; il Movimento Sociale per i camerati; il Partito Comunista, ma anche il Partito Socialista, il Partito Socialdemocratico e via dicendo, per i compagni. Insomma, il mondo politico allora, con mille sfumature e sfaccettature, si divideva tassativamente in sinistra, centro e destra. Appunto in compagni, amici e camerati. In questa segmentazione rigida c’erano i sottogruppi extraparlamentari di sinistra e di destra, con le sanguinose degenerazioni terroristiche. C’erano i componenti delle Brigate rosse che venivano definiti eufemisticamente da aree extraparlamentari come “compagni che sbagliano”.

         Sentire oggi che i cinesi hanno cancellato senza alcun problema il termine mitico per tutti i comunisti del mondo di “compagno”, stupisce. Pare sia bastata una semplice circolare, diramata dall’agenzia municipale dei trasporti di Pechino, a depennare nella vita reale, nel dialogo quotidiano tra operatori dei trasporti e utenti, il termine “compagno” caro a Sun Yat-sen, fondatore della Repubblica nel 1911, e a Mao Zedong. Al suo posto subentra un capitalistico “signore” oppure “signori”, forse anche “passeggeri”. Nelle stanze della politica però, per lo meno per il momento, il termine “tongzhi”, che nel cinese classico indicava chi era accomunato da un comune ideale, resta. Nelle sedute del Politburo del Partito comunista cinese risuonerà ancora il termine compagno. Probabilmente l’accezione sarà diversa, rituale. Come avviene nel nostro Parlamento dove i deputati vengono chiamati “onorevoli”. “L’onorevole… ha la facoltà di parla- re”. “Il compagno… ha la facoltà…”.

         Certo, fa un po’ specie, per quelli di una certa età che sono sempre stati anti comunisti, accomunare Mao ed il suo libro rosso con l’attuale segretario del partito comunista cinese, Hu Jintao, che inizia i suoi interventi con un “Signore, signori, compagni, amici”. Emblematicamente la vera caduta del comunismo reale, anche linguistico, si associa non tanto o solamente al Muro di Berlino, ma alla declassazione ormai a rituale del termine mitico e soprattutto immaginifico di “compagno”.

La corsa al capitalismo fa di questi scherzi.