non c'è libertà senza passione!

di Elia Fiorillo

Consigliere nazionale della Federazione della Stampa italiana

“Chi, cosa, quando, dove, perché”. E’ questa la regola aurea del giornalismo anglosassone a cui attenersi per prevenire le domande dei lettori. Per dare un’informazione quanto più completa possibile. La foga oratoria però può fare brutti scherzi, ma anche la “captatio benevolentiae” per il voto congressuale può far dimenticare la concretezza e la chiarezza degli obiettivi che si vogliono raggiungere. Una cosa così può capitare anche ad un congresso di giornalisti. Resta il fatto che sarebbe meglio se le idee forza, per far si che non restino meri slogan di propaganda, fossero accompagnate e suffragate dal pragmatismo dell’individuazione dei percorsi operativi. Appunto dal “chi” li realizzerà; dal “cosa” comporteranno; dal “quando” potrebbero avvenire; dal “dove” si realizzeranno e, soprattutto, dal “perché“ è importante perseguirli. Insomma, meglio subito mettere dei paletti fermi, specialmente quando si parla di “Giornalismo e delle sfide del cambiamento”.

Di suggestioni immaginifiche Franco Siddi, segretario della Fsni, nella sua relazione al 26° Congresso Nazionale della Stampa Italiana, tenuto a Bergamo, ne ha lanciate diverse. Forse sarebbe stato meglio un contenimento ed un approfondimento delle tematiche trattate. Ma anche una giusta individuazione delle alleanze, necessarie ed opportune, per portare a casa risultati e non stati d’animo. Forse sarebbe stato meglio, proprio per le sfide che si presentano all’informazione del nostro Paese – zeppa di conflitti d’interesse di tutti i tipi e d’infinita precarietà – rilanciare il patto storico con tutto il sindacato confederale. Con Cgil, Cisl, Uil e con l’Ugl. Questa cosa non c’è stata. E la sensazione di una marcia a senso unico che esclude alcune confederazioni privilegiandone altre, soprattutto sposando le loro politiche, è stata evidente. Divisioni così non servono. Il sindacato unico ed unitario dei giornalisti, per rimanere tale, ha bisogno di un’autonomia reale. Ha bisogno di essere e di apparire libero. Più lo sarà, più avrà la possibilità di diventare interlocutore credibile e rispettato da tutto lo schieramento politico nostrano. Viceversa, sarà visto come uno strumento di una parte e trattato come tale.

Molto si è detto sulla qualità dell’informazione. Più la rete globalizzerà le notizie, più ci sarà bisogno della mediazione qualificata del giornalista. Non più tuttologo, ma specializzato sulle varie tematiche che la professione gli sottoporrà. Un intermediario culturale super partes, o meglio sempre schierato dalla parte del lettore. Facile a dirsi, difficile, quasi impossibile, per lo meno nel nostro Paese, a che si realizzi. Gli editori spuri, e non solo, utilizzano il giornalista in funzione dei loro interessi. Insomma, il cronista spesso è mediatore tra le notizie che importano al “padrone”e l’indifeso lettore. L’esasperazione di tutto ciò è la disinformazione fatta di pura propaganda con l’utilizzo di “metodi” denigratori di vario tipo. Che fare? Combattere la precarietà in tutti i modi possibili, ma anche colpire, senza se e senza ma, “i ladri di sogni” – e di altro – che girano indisturbati, e finanziati dal denaro pubblico, nel nostro bel Paese. E che sono certo alcuni editori, ma anche alcuni giornalisti che fanno i direttori, i capi servizio e via dicendo, che hanno dimenticato cosa sia l’etica professionale, la corretta informazione, la lealtà verso il lettore. In questi casi il Sindacato e l’Ordine devono intervenire con tutti i mezzi che hanno a loro disposizione. Come il Sindacato, anche legalmente, deve difendere i giornalisti “che non hanno voce”, cosi’ deve colpire giudiziariamente quei “colleghi” (sic), spesso autorevoli, che di voce ne hanno tanta. La “costituzione di parte civile”, a difesa dell’immagine di tutta la categoria, nei vari procedimenti giudiziari intentati a vario titolo contro di loro, potrebbe essere una buona azione per far comprendere all’opinione pubblica da che parte sta il Sindacato.

L’idea del fondo per la libertà di stampa, lanciata da Siddi nella relazione congressuale, finanziato tra l’altro dalle fondazioni bancarie “con una quota dei loro proventi obbligatoria per legge”, può essere una buona idea, che va riempita di contenuti pero’. Non basta dire che il fondo e’ finalizzato “alla sola promozione del bene informazione”. C’e’ bisogno di ben altro. Il fondo, ad esempio, potrebbe essere destinato solo ad attività imprenditoriali, nel settore dell’editoria, di giovani giornalisti che ipotizzino progetti di prodotti innovativi. Una cosa così potrebbe essere anche una sfida simbolica alla grande imprenditoria. Quella rappresentata al Convegno inaugurale del Congresso da Fedele Confalonieri (Mediaset), Carlo De Benedetti (Gruppo l’Espresso), Piergaetano Marchetti (RCS) che non hanno portato, in verità, grandi tesi per superare l’attuale crisi e per costruire il futuro dell’editoria. Le compagini sociali delle cooperative o società dovrebbero privilegiare i giovani giornalisti professionisti, ma anche pubblicisti (ma ci potrebbe anche essere una quota minima di “anziani” che, con la loro esperienza, aiutino i giovani). E’ da respingere, comunque, l’ipotesi che il fondo intervenga “in casi di dissesti gravi ed improvvisi” di attività’ editoriali. La vecchia e non rimpianta Gepi, Società per le Gestioni e Partecipazioni Industriali, non serve all’informazione.

I giornalisti italiani che percepiscono reddito sono 49mila. Di questi il 22mila sono dipendenti e 27mila autonomi. Ma il dato sconvolgente è che troppi giornalisti autonomi percepiscono complessivamente cinquemila euro lordi all’anno. Questi dati devono far riflettere un po’ tutti e soprattutto la dirigenza del Sindacato. Solo con l’unità vera e non di facciata è possibile provare a combattere il precariato infinito del giornalismo italiano, che si traduce in ultima analisi in precarietà dell’informazione.