Stare rinchiuso in casa è un vero tormento per chi per lavoro, per necessità, per stile di vita ha sempre passato le sue giornate muovendosi senza alcuna restrizione.
Ti affacci al balcone o alla finestra e vedi l’assoluto deserto là dove, solo qualche giorno addietro, scorgevi di tutto. Dai ragazzini che giocavano a pallone, al via vai continuo di donne e uomini che entravano ed uscivano dalla bottega del fruttivendolo o del macellaio, oppure del tabaccaio. Alle coppie di fidanzatini che si tenevano per mano teneramente, e via dicendo.
Sembra che il mondo sia cambiato e che noi tutti siamo stati per un prodigiotrasferiti in un’altra realtà.
Incavolarsi non serve, anche perché ti fa peggiorare la già difficilesituazione personale. Certo, se qualcuno ci avesse detto che ci saremmo trovati sbarrati in casa per il Coronavirus nell’era del progresso, della medicina che ha raggiunto traguardi inimmaginabili, non ci avremmo creduto. Avremmo, forse, cominciato a ridere, facendo gli scongiuri, e dato del menagramo a chi si azzardava a ipotizzare “certe sciocchezze”. E, invece, quelle che ritenevamo idiozie, stupidate, farneticazioni si sono rivelate micidiali realtà.
Quando penso a New York, l’ombelico del mondo come l’ho sempre ritenuta, deserta, totalmente svuotata, mi vengono i brividi. Ricordo il via vai cosmopolita per le strade della Grande Mela. Manhattan con le sue luci ed i suoi locali sempre aperti. Tutto per il momento accantonato. Si contano i morti che giorno dopo giorno aumentano, raggiungendo cifre inimmaginabili. Sono stati superati i decessi causati dagli attentati dell’11 settembredel 2001 che furono 2974, piùi diciannove dirottatori. Siamo arrivati a superare quota 5000. E la cifra è destinata ad aumentare.
Il virus non dà tregua e oltrepassa tutte quelle barriere sanitarie che noi, solo fino a pochi giorni fa, ritenevamo impenetrabili, più che sicure.
Certo, anche il malefico, maledetto – e chi più ne ha più ne metta – COVID-19 fra qualche tempo – speriamo presto – sarà un brutto ricordo. Ma come i “brutti ricordi” il virus nefasto non va cancellato, anzi va sempre tenuto ben in mente. Proprio per rammentarci la nostra fragilità di umani che spesso, troppo spesso, non solo in campo medico, dimentichiamo i nostri limiti. Ci sentiamo imbattibili, dei padreterni capaci di qualsiasi cosa.
Il COVID-19 qualcosa da non sottovalutare e soprattutto d’inaspettato l’ha fatto: è riuscito a scatenare il bisogno, la necessità di stare tutti dalla stessa parte per salvarsi dai contagi. E ci voleva un batterio, un bacillo, un germe, come vogliamo chiamarlo, per farci rendere conto della nostra fragilità umana? Per farci comprendere il bisogno che abbiamo d’essere uniti, di stare tutti dalla stessa parte?
Pare proprio di sì. Il male unisce e il bene divide? Comunque, il virus d’interrogativi oltre che medici ne ha posti tanti. Certo, speriamo che al più presto esso sarà debellato. Auguriamoci che gli scienziati riusciranno a trovare un antidoto, un vaccino che metta il COVID-19 fuori gioco. Ma vale la pena tener sempre a mente i danni che esso ha provocato. E soprattutto come “l’unità dei popoli”, per vincere il male, è stata vincente. E la domanda che ci dobbiamo sempre porre: “ma c’è bisogno del male assoluto – in questo caso il virus – perché le nazioni s’uniscano?”. E non sarebbe più giusto, necessario, opportuno che l’umanità si trovasse già unita in situazioni disastrose come quelle provocate dal Coronavirus ? La risposta è scontata. Eppure, anche nel nostro piccolo, senza scomodare i popoli, ci comportiamo allo stesso modo. Ci uniamo fortemente solo in caso di necessità. Per il resto pare che il leat motiv della nostra vita sia: “com’è bello scontrarsi, dividersi… com’è bello star da soli…”.
C’è un unico modo per arrestare l’insano bisogno del frazionamento: la cultura. Il “coltivare” negli esseri umani sentimenti, passioni che portino al “bene comune” che è tutt’altro che divisione, prevaricazione, sopruso e via dicendo.
Passerà questo infausto momento del virus micidiale. Rimarranno però le tematiche relative al “bene comune”, alla “cultura dell’unità”. Su esse dobbiamo impegnarci se vogliamo veramente un mondo migliore. Certo, è più facile “dividere che unire”. A volte si ha più successo, specialmente nell’era mediatica in cui viviamo, a fare “la voce grossa” a “spaccare”… tutto il possibile. Ma, alla fine, è sempre “l’essere uniti” a vincere. Ricordiamocelo sempre!
di Elia Fiorillo