non c'è libertà senza passione!

di Giuseppina Amalia Spampanato

PhotoTERESA MANCINI- 2012 Roma

PhotoTeresa Mancini

Nei soli primi 4 mesi del 2012 già si registrano 23 vite che, dinanzi all’incapacità di fronteggiare i problemi derivanti dalla crisi che investe il nostro Paese, decidono di porre fine alla loro disperazione ricorrendo ad un gesto così estremo. Ben 9 dei 23 casi sono stati registrati in Veneto, che per anni nell’immaginario comune era visto come motore di sviluppo, mentre oggi registra questo triste primato.

A ricorrere a questo gesto sono imprenditori che non riescono ad ottenere il pagamento dei crediti; agricoltori che non possono ricoprire i propri debiti a causa di cattive annate, nuove imposte, aumento dei carburanti e delle merci; operai metalmeccanici che perdono il lavoro con la chiusura delle fabbriche; precari e disoccupati, che chiedono solo un lavoro come massima aspirazione per sentirsi appagati e realizzati.

La scelta estrema del suicidio è indice di una profonda crisi non solo economica, ma sociale, culturale e morale. L’esasperazione, la perdita di dignità, il venir meno di importanti diritti individuali sono solo alcuni dei motivi che spingono un uomo a togliersi la vita, nel momento in cui quella vita sembra aver perso dignità, rispettabilità e futuro.

Quando si costruisce un’impresa o si fa una dura gavetta per ricoprire un lavoro grazie alle proprie abilità e al proprio studio, diventa frustrante vedere improvvisamente i propri sacrifici, gli impegni profusi, i progetti e i sogni crollare dinanzi a delle congiunture economiche e sociali, determinate dall’incapacità di pochi di governare e gestire le risorse economiche.

Spesso un aumento dei suicidi si registra col passaggio da un vecchio sistema, che implode via via, ad un sistema nuovo, che si afferma con notevoli difficoltà nella società: proprio quello che sta accadendo in Italia. Dinanzi alla crisi di un sistema capitalistico che distrugge sogni e vite, diventa necessaria una risposta delle istituzioni e della società che sancisca il trionfo della vita sulla morte. C’è bisogno oggi di una risposta collettiva, di un sostegno concreto, che venga dal basso, dal pianoterra della vita, come dall’alto dei palazzi. Non bisogna limitarsi soltanto a condannare il suicidio come forma di disperazione o di lotta per il riconoscimento in extremis della propria dignità, ma occorre impegnarsi concretamente per scongiurare tale scelta, stando vicino alle famiglie che vivono il dramma della perdita del lavoro o del fallimento delle piccole e medie imprese.

Il triste fenomeno dei suicidi di uomini e donne schiacciati dalla crisi non è soltanto da ricondurre a fattori economici, ma anche ad una questione di giustizia e solidarietà. A sottolinearlo è stato di recente mons. Renzo Moraglia, patriarca di Venezia: “nei temi individuati dal convegno Aquileia 2 ci sia anche il bene comune e il bene comune non può prescindere dalla giustizia. Quindi dobbiamo interrogarci sul fatto che il bene comune non può chiedere degli sforzi a qualcuno e ad altri no, ma deve essere equilibrata la collaborazione di tutte le componenti della società civile per cui non possiamo chiedere sforzi a chi ha già fatto il suo dovere”. Un messaggio chiaro ed eloquente: la crisi non possono pagarla solo i più disagiati, le famiglie oneste che già fanno mille sacrifici per arrivare a fine mese, ma deve essere affrontata da tutti, soprattutto da chi ha redditi elevati, denaro e proprietà all’estero, evade le tasse, occupa immeritatamente una poltrona troppo comoda.

I suicidi sono un grido di allarme, un urlo che squarcia il silenzio opprimente di un mondo che corre sempre troppo velocemente e lascia indietro chi non regge il ritmo. Sono richieste di aiuto da parte chi non ce la fa più a reggere la crescente pressione della burocrazia, delle tasse, della stretta creditizia e dei ritardi nei pagamenti. Giuseppe Bortolussi, segretario della Cgia, afferma: “Per molti il suicidio è visto come un gesto di ribellione contro un sistema sordo ed insensibile che non riesce a cogliere la gravità della situazione”.

Il governo è chiamato ad interrogarsi con coscienza ed obiettività, rivedendo alcune scelte e riducendo il carico fiscale sulle imprese e sul mondo del lavoro. Senza un aiuto concreto sarà difficile far ripartire l’economia del Paese.