non c'è libertà senza passione!

di Patrizia Ugolini

La parola “emozione” rimanda al concetto di “movimento”.

Esso è insito nella natura dell’essere, e nell’uomo è servito, sia il movimento fisico che mentale, a perlustrare il pianeta in lungo e largo fin dalla preistoria, alla ricerca di migliori condizioni di vita, e ad operare strategie sempre più efficaci, sfruttando il bisogno ed il desiderio di conoscenza ed evoluzione in tutti i campi.

Ciò ha consentito ai miliardi di cellule nervose del cervello umano di moltiplicarsi fino ad un numero così alto che la scatola cranica, per poterli contenere tutti, ha dovuto aumentare le sue dimensioni, e la corteccia cerebrale (costituita dalle cellule nervose) a ripiegarsi in tante circonvoluzioni.

Lo sviluppo della corteccia cerebrale nell’uomo ha così raggiunto dimensioni superiori a quelle di tutti gli altri esseri animali, e si è sviluppata intorno a strutture sottocorticali, di derivazione più antica e simile nei vari animali, deputate essenzialmente alla risposta agli stimoli dell’ambiente esterno. Tale risposta sottocorticale consiste in una comportamento automatico sempre associato e dipendente dall’emozione, che varia e seconda dello stimolo (per esempio stimolo pericolo, emozione paura, comportamento fuga o attacco o immobilità).

Perciò sono le emozioni il vero motore del comportamento animale. Esse inducono la mente ed il corpo a prestare attenzione. Anche per questo sono alla base dell’apprendimento: si ricordano di più le esperienze ad alto livello emotivo (come le lezioni a scuola che hanno colpito positivamente, che hanno emozionato!)

All’inizio dunque c’è uno stimolo esterno, che viene captato sensorialmente, cioè attraverso tutti i sensi, e convogliato al “talamo”, una centralina sensoriale a forma di uovo posta alla base del cervello. Da qui l’informazione va all’”amigdala”, altra struttura sottocorticale, che la associa ad un’emozione e la paragona ad altre analoghe già vissute dello stesso tipo, strutturando una memoria cosiddetta inconscia, (o implicita, procedurale), che risponde con reazioni automatiche. Dall’amigdala, sempre ad una velocità quasi simultanea allo stimolo, arriva all’”ippocampo”, dove risiede la memoria conscia (esplicita, dichiarativa), e da dove l’esperienza può essere richiamata nel futuro consapevolmente. Nell’ippocampo ci sono i fatti accaduti, nell’amigdala l’emozione associata.

Infine, l’informazione perviene alla soprastante corteccia, che elabora tutta l’esperienza a livello cognitivo, razionale, e dove l’evento viene ricostruito in una storia coerente, in base a tutti i dati conservati nelle varie memorie.

L’emozione rimane comunque il nucleo centrale di tutti questi velocissimo passaggi.

Se lo stimolo per esempio era un’aggressione da parte di una persona e l’emozione associata paura o rabbia, basterà in seguito la vista della persona o anche solo il suo ricordo a generare la stessa emozione, consapevolmente o inconsapevolmente, anche a distanza di anni, con la stessa intensità, come se l’esperienza la si stesse provando al momento, ed anche se non si ricordano esattamente come sono avvenuti i fatti. E’ la mente razionale, corticale, che ci scrive sopra la sua personale teoria. Per questo, il ricordo di una esperienza difficilmente è la ripetizione fedele dell’accaduto reale, ma una sua versione. Essa, parla più di noi che della realtà.

L’emozione la sentiamo ancora presente perché nelle strutture sottocorticali non esiste il concetto del tempo, che è una elaborazione più raffinata e razionale, operata dalla corteccia cerebrale: questa è l’unica sede per cui possiamo comprendere e valutare che l’esperienza si è verificata tanto tempo fa, anche se l’emozione che percepiamo con tutti i sensi, e che nasce dalle zone sottostanti, ci sembra ancora viva e reale.

Tuttavia esiste anche una via più breve, che esclude l’intervento della corteccia, e serve quando la risposta deve essere immediata, senza starci troppo a riflettere su. Ed è quando si è in presenza di un evento acuto stressante drammatico o altamente pericoloso, in cui la via percorsa è solo quella verso l’amigdala, per una pronta risposta automatica, inconscia.

E’ la via preferenziale degli animali, ma frequente anche in noi esseri umani, che però…poi ce la vogliamo poi spiegare, proprio perché la corteccia non ha avuto il tempo di elaborazione e ci sembra spesso una reazione, un comportamento illogico, inspiegabile.

Infatti, fuggire all’impazzata davanti ad un cataclisma è spiegabile, logico, ma fare lo stesso davanti ad innocuo uccellino (per esempio nella fobia degli uccelli, o dei ragni, delle piazze, ecc.) sembra assurdo, e possiamo non essere consapevoli che per esempio si tratta di un comportamento appreso (inconsciamente) dall’ambiente in cui siamo cresciuti, oppure si è trattato di un evento passato traumatico nostro o dei nostri genitori o di altre figure di riferimento, di cui può essere stato rimosso inconsciamente il contenuto drammatico (conservandolo a livello dell’amigdala, dove la memoria è inconscia appunto), ma non l’intensità emotiva che viene spostata su quell’uccellino che era presente anche innocentemente nell’evento mentre lo si stava vivendo, oppure era immaginato al momento, oppure rappresenta simbolicamente qualcosa che ha turbato durante l’evento (anche la ricerca di simboli è un’attività corticale).

Le dinamiche intorno agli accadimenti sono complesse, tuttavia, ciò che ci rende profondamente umani è il nostro bisogno di spiegarcele, di voler renderci consapevoli del nostro comportamento…è questo che ha reso la nostra corteccia così evoluta, essa è la sede della nostra coscienza.

E’ quel bisogno di costruirci sopra la nostra storia, la nostra spiegazione, insieme agli altri, in una sorta di consapevolezza collettiva che è diventata la nostra cultura: la seconda natura dell’uomo, la sua natura più profonda, la paideia dei greci e l’humanitas dei latini, che dal puro biologico ereditato nei secoli accomuna gli individui nell’intento di farsi progetto.

Tale incessante attività cerebrale ha permesso sempre nuove connessioni tra cellule nervose, che formano sempre più reti neurali, con un movimento e un progredire continuo non solo nell’ambito della specie ma anche nello stesso individuo, a tutte le età della sua vita (si pensa che siano presenti aree cerebrali duttili come quelle di un neonato, a tutte le età!), fino a che esso abbia voglia di pensare, ragionare, progettare, e fino a che lascerà aperta la sua curiosità, la sua voglia di apprendere dall’esperienza, dando vita ad un processo di rimodellamento inesauribile, che rende il cervello agile e giovane per un tempo potenzialmente indefinito.

Se lo utilizzassimo al massimo, ognuno di noi sarebbe più capace di qualsiasi grande mente umana mai esistita.

In definitiva, ogni esperienza umana si traduce in un’opinione che parte da un’emozione, operata da un complesso lavoro di dati reali o immaginari, interpretazioni e conclusioni del cervello, al fine di dare coerenza e significato alla propri esistenza, come un poeta fa con la sua narrazione.

Forse è la narrazione l’essenza della nostra vita.