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Enrico Letta www.enricoletta.it/Giorgio Napolitano avrà tremato sulla seggiola nel sentire le dichiarazioni del presidente del Consiglio, Enrico Letta, trasformatosi da Jo-condor in un semplice condor, che è il più imponente tra i rapaci diurni. “Tra i falchi, i pitoni, le vipere e via discorrendo, ci mancava solo il condor”, avrà pensato il presidente. E la preoccupazione, già ai massimi livelli per gli attacchi bipartisan al governo, ha raggiunto il parossismo quando Letta ha chiuso il suo Carosello personale con le parole: “Giocheremo all’attacco”. “Un altro attaccante?” , avrà pensato Napolitano. “Ma dove sono finiti i moderati!?” Quegli individui dai ragionamenti misurati che non lanciavano un’invettiva manco a minacciarli con la pistola alla tempia. Ma anche gli altri, i non moderati, erano sempre attenti a non alzar troppo il tiro sulle istituzioni democratiche del Paese. Altri tempi.

Il capo dello Stato nelle vesti del “gigante buono” presente nello spot pubblicitario della Ferrero degli anni settanta, rievocato da Letta, ha voluto vederci chiaro. Un confronto tra i due massimi esponenti della Repubblica ha chiarito l’arcano. “Giocare all’attacco” , per il capo dell’esecutivo, significa mettere i partiti difronte alle proprie responsabilità. Farli discutere su cose concrete. Mentre il Pdl rilancia Forza Italia con uno spirito – tra l’altro – di rivincita nei riguardi della Magistratura ed il Pd è alle prese con un futuro congresso apparentemente già vinto da Renzi, Enrico Letta non ci sta più ad incassare pugni in faccia: la spina potrebbe staccarla lui. Dopo, ovviamente, aver messo sul tavolo delle decisioni questioni delicate e controverse come il “finanziamento ai partiti” , il “Porcellum”, ma anche e soprattutto tutta la problematica relativa alla stabilità ed al fisco, con i relativi annessi e connessi.

In casa Pd il caos incombe. Il partito del presidente del Consiglio pare proprio non preoccuparsi di essere alla guida del Paese. Invece di esaltare Letta a scena aperta, sostenendolo in tutti i modi possibili – dividendo statutariamente a scanso di problemi l’automatismo tra la carica di capo dell’esecutivo e segretario del partito -, lo critica o lo ignora, come se fosse un marziano capitato a palazzo Chigi per puro caso. Fa bene l’ex vicesegretario del Pd a tenersi fuori dalla competizione congressuale. Il vero vincitore del congresso dei democratici potrebbe essere lui se riuscirà a tenere la barra dritta in tanto caos e soprattutto a portare a casa alcuni risultati tipo la riforma elettorale e l’immagine di stabilità dell’Italia difronte all’Europa, mediando sulle tasse. E varando iniziative concrete per lo sviluppo e l’occupazione.

La colla dell’unità interna, per lo meno apparente, e del rilancio Berlusconi l’ha trovata con tre mosse: l’attacco alla Magistratura conseguente alla sua condanna definitiva, la nascita di Forza Italia e il sosteno al governo. Un appoggio all’esecutivo condizionato al blocco delle tasse con relativi ministri trasformati all’uopo in “sentinelle antigabelle”. Se Fabrizio Saccomanni, ministro dell’Economia e delle finanze, e il suo capo Letta sgarreranno, tutti a votare. E il premio dovrebbe andare a chi ha bocciato i tassatori ad oltranza, appunto Forza Italia. Il disegno c’è. Lo si può considerare opportunistico e cinico, ma c’è. C’è anche la manina maliziosa che indica nei democrat i veri colpevoli della destabilizzazione del governo. E tranne la signora Daniela Santaché – che nella sua foga guerrafondaia non si rende conto quanto non convenga sparare sul presidente del Consiglio – i giudizi sul nipote di Gianni Letta da parte del Pdl-Forza Italia sono interessatamente positivi.

L’unica cosa definita dall’assemblea del Pd dei giorni scorsi è la data del Congresso: 8 di dicembre, festa dell’Immacolata Concezione. Per il resto, pare, si reciti a soggetto. Poi si vedrà. Ma qual è il disegno? Il rischio serio che i democratici stanno correndo è che la celebrazione congressuale corrisponda anche alla fine del governo delle larghe intese. Poco male secondo alcuni personaggi del Pd che sembra puntino alle elezioni entro febbraio, costi quel che costi. Ma i conti se li son ben fatti? Sembra proprio di no, nel senso che tutto è rapportato all’avversario interno da abbattere al Congresso. Eppoi, per dogma di fede, si dovrebbero vincere le elezioni. Le brutte storie elettorali che hanno come protagonisti Achille Ochetto e Pier Luigi Bersani – vincitori nelle vigilie elettorali, ma poi perdenti di fatto – sembrano cancellate dall’ottimismo della volontà, di vincere appunto. Forse sarebbe il caso che all’inizio dei lavori della prossima assise del Pd qualcuno citasse le 5 virtù cardinali: prudenza, giustizia, fortezza e temperanza. Un tal approfondimento potrebbe essere utile ai giovani turchi o fiorentini che siano e agli anziani romani a ripensare certe strategie nell’ottica del bene comune: del Partito e soprattutto del Paese.

di Elia Fiorillo