di Giuseppina Amalia Spampanato
L’azienda leader dei mobili, icona di modernità e democraticità, inciampa sul tema della dignità delle donne. Di recente, in Arabia Saudita, dove il colosso svedese ha aperto nuovi punti vendita, le foto del catalogo per il 2013 sono state rivoluzionate, rimuovendo le donne. Si tratta di una “svista” o di una precisa volontà aziendale per non urtare la religione del mercato conquistato?
La notizia è di quelle che fanno riflettere, perché Ikea ha sempre dato di sé un’immagine di azienda moderna, democratica, aperta e, soprattutto, attenta ai diritti civili. Eppure, oggi, il gigante svedese dei mobili inciampa in un grossolano “incidente di percorso”, così come lo definisce Lars Petersson, amministratore delegato di Ikea Italia.
L’azienda ha, infatti, deciso di eliminare le foto di donne dal catalogo saudita, perché in Arabia Saudita non si possono pubblicare immagini di donne dalla pelle scoperta e ha poi archiviato il caso come un errore imputabile a una “falla nei processi decisionali relativi al catalogo, processi che sono in via di revisione”. La decisione, però, non è stata accolta con favore, anzi, ha suscitato le ire non solo del web, ma anche delle ministre svedesi, perché l’atteggiamento di Ikea è stato percepito come un cedimento nei confronti di un Paese che discrimina le donne. Per la Svezia, da sempre attenta alla parità dei sessi, questo è stato uno scivolone imperdonabile su una questione che riguarda il rispetto e la dignità della donna.
Il problema nasce dall’esigenza del colosso di trovare, ogni volta che entra in un mercato nuovo, un compromesso con la sensibilità, la cultura e le leggi locali. Un’esigenza importante per una multinazionale che, per vendere i suoi prodotti, deve adeguarsi alla mentalità del suo bacino d’utenza. Quello che, però, lascia perplessi è l’atteggiamento poco coerente di Ikea, che ama fregiarsi di finalità etiche e spot pro eguaglianza sociale e parità dei sessi, ma poi piega i suoi valori a strategie di mero marketing. Se ci si fa portavoce di determinati diritti e valori, bisogna impegnarsi a rispettarli, tenendo conto della diversità culturale delle varie aree di mercato in cui si opera.
Per quanto riguarda l’episodio saudita, non sarebbe stato più semplice adeguarsi sin dall’inizio alla cultura del mercato cui ci si stava rivolgendo, invece di ricorrere a tardivi e grotteschi tagli? Sembra strano che Ikea, pur sapendo di rivolgersi a un Paese dalla particolare concezione del ruolo della donna nella società, non abbia scelto, sin dal principio, di utilizzare immagini ad hoc di donne in pose e abbigliamento non offensivi per la sensibilità araba. Una scelta del genere avrebbe dato risalto alla donna, confermato la sua importanza all’interno del nucleo familiare, rispettando la dignità femminile e, allo stesso tempo, la sensibilità religiosa islamica. I tagli successivi, invece, hanno suscitato indignazione, perché sembrano un tentativo di rimuovere la donna da una realtà in cui, seppure sia vero che abbia ancora un ruolo marginale e subordinato rispetto all’ottica maschile, esiste ed è giusto che abbia voce. La soluzione sarebbe stata semplice: includere le donne nel catalogo, contestualizzando le loro usanze e i loro costumi. Correre ai ripari, quando il danno è ormai fatto, è un po’ triste e persino controproducente.
In Arabia Saudita, Ikea ha, quindi, mostrato di far prevalere un certo scrupolo nei confronti del nuovo mercato, andando incontro, seppure con scelta tardiva e infelice, alla cultura islamica. Molti, però, si aspettavano che, invece, mantenesse lo stesso atteggiamento mostrato nel caso italiano con la campagna sulle coppie omosessuali che lo scorso anno accompagnò l’apertura di un centro Ikea a Catania. In quell’occasione, suscitò clamore il messaggio “Siamo aperti a tutte le famiglie” su un cartellone pubblicitario, che ritraeva due uomini mentre camminavano mano per la mano, ma Ikea difese la propria provocazione appellandosi ai diritti civili e alla libertà d’espressione. Per lo stesso principio, fatto il danno, dovuto a una superficiale “falla nei processi decisionale”, non sarebbe stato meglio mantenere il catalogo saudita così com’era stato concepito e difendere quella scelta con la stessa forza e determinazione mostrate nel caso italiano?
Non c’è niente da fare, anche per Ikea la legge del profitto vince sulla politica “etica”.