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Giorgio Napolitano Il presidente della Repubblica lo sta ripetendo da tempo che non succederà a se stesso. Ed all’invito motivato del direttore del Corriere della Sera, per una sua riconferma al Quirinale, fa arrivare l’ennesimo rifiuto. Alterigia, stanchezza fisica, o cosa fa ripetere il no a Giorgio Napolitano? L’età certo non manca, ma una parentesi breve per far fronte ad un’emergenza istituzionale si potrebbe pure fare. Perché allora Napolitano è categorico nel suo rifiuto?

Presidente Giorgio NapolitanoLa democrazia ha le sue regole che non possono e non devono essere aggirate. La mancanza di trasparenza e gli arzigogolamenti della politica hanno portato all’attuale clima di sfiducia che si respira nel Paese e che le elezioni hanno certificato. Se vuoi raddrizzare la barca, o provarlo a fare, hai bisogno di credibilità. Di una linearità che tutti devono comprendere. Certo, l’attuale capo dello Stato è un’istituzione che nell’opinione pubblica ha gran credito. E’ riuscito in un momento di crisi economica a dare una svolta con il governo Monti, che oggi molti criticano, ma che all’epoca trovò d’accordo i principali partiti del Paese. Ha provato ad essere, Giorgio Napolitano, anche la coscienza critica della politica premendo, ad esempio, sulla necessaria ed opportuna riforma elettorale prima di andare alle elezioni. Ricevendo per il suo “interventismo” critiche sotterranee, ma anche esplicite come quelle di Marco Pannella. Non a caso un po’ tutti, nel bene e nel male, lo chiamano Re Giorgio.

Forse proprio perché non si sente un Re che il capo dello Stato ha decisamente reclinato l’ulteriore invito a rimanere al suo posto. Avrà pensato che una sua ricandidatura sarebbe apparsa all’opinione pubblica come una forzatura. Un altro colpo alla credibilità di una classe politica che prova a rinnovarsi con innesti di giovani, ma che poi per reggersi ha bisogno di ultra ottantenni per andare avanti. Probabilmente nel leggere l’editoriale di Ferruccio De Bortoli gli saranno scorse davanti agli occhi le immagini di quando decise, sotto la pressione dello spread, di mandare a casa Silvio Berlusconi e di dar vita ad un governo di “salute pubblica” o di “salvezza nazionale”. Momenti drammatici che gli fecero scegliere la via dell’interventismo più che quella del certificatore notarile.

“Tutti sono utili, ma nessuno è indispensabile”, specialmente in democrazia. Anzi, l’indispensabilità nei regimi democratici può portare ad una deriva pericolosa non necessariamente di tipo dittatoriale, ma di assenza di credibilità nelle classi dirigenti del Paese. Da queste considerazioni le forze politiche, prima di metter mano alle invocate riforme della Cosa Pubblica, devono riformare se stesse. A partire dell’art. 49 della Costituzione che recita: “Tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale”. Articolo sacrosanto a cui bisogna affiancare una leggina che stabilisca un po’ di regole “democratiche” nella gestione dei partiti. Si può concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale quando la gestione del soggetto preposto a tale scopo non è democratico? Più che mai oggi, con movimenti o partiti che utilizzano la “democrazia della rete”, bisogna stabilire precetti condivisi per evitare possibili “dittature” informatiche che ci possiamo trovare dietro l’angolo.

Giorgio Napolitano ha fatto la scelta giusta. Farà il suo mestiere fino a quando la Carta costituzionale lo prevede eppoi lascerà il Quirinale. Ma chi pensa che il capo dello Stato, proprio perché proveniente dal Pd, sicuramente affiderà l’incarico di formare il nuovo governo a Pier Luigi Bersani si sbaglia. L’ultimo atto di Napolitano sarà improntato non a logiche di appartenenza, ma di opportunità come del resto ha sempre fatto. Non sarà lui a sciogliere le Camere, ma a lui resta l’ingrato compito della prima mossa per provare ad arginare la confusione esistente. Lui, Re Giorgio, più di altri, sa bene che nuove elezioni a brevissimo termine il Paese non se le può permettere. E’ consapevole che dalla sua prima mossa dipende il destino di questa legislatura e che, di fronte al nuovo che avanza, non si può far finta di niente. I vecchi riti non servono. Serve coraggio di puntare su percorsi possibili ed alternativi. A Napolitano l’esperienza e il coraggio non mancano per fare la sua ultima mossa: la più impegnativa dell’intero settennato.

di Elia Fiorillo