non c'è libertà senza passione!

Rapporto SVIMEZ 2010di Elia Fiorillo

Nel linguaggio immaginifico dello studioso  meridionalista degli anni ottanta il Mezzogiorno era “segmentato, a pelle di leopardo, non più omogeneo nel sottosviluppo”. Non erano tutte rose e fiori, ma quella “pelle di leopardo” faceva ben sperare. Le due Italie si cominciavano ad avvicinare. La forbice sembrava restringersi. Attenzione, non più di tanto però. Il segnale comunque pareva positivo in una situazione di grande degrado. Il tanto vituperato “intervento straordinario” per lo meno all’inizio era servito. Una spinta verso l’alto l’aveva data. Poi la degenerazione, il clientelismo avevano ucciso la Cassa per il Mezzogiorno e l’Agensud, che aveva preso il suo posto, non era riuscita ad essere efficace. Proprio quando, in periodo d’espansione della piccola e media impresa, un “aiutino” non clientelare  sarebbe stato importante. A tutto ciò era sopraggiunta poi la teoria dell’”autopropulsività”, la “volontà del fare” era diventato l’antidoto a tutti i mali del Sud. Certo, il detto “aiutati che Dio ti aiuta” ha un senso. Il darsi da fare è sempre un’ottima cosa. Ma non basta in certe situazioni. Quando hai una malattia grave la volontà di guarire è importante, ma ci vogliono gli antibiotici eppoi le terapie riabilitative. Per il Meridione non è stato così. A lucide analisi dei meridionalisti dell’epoca, ricordo tra gli altri Manlio Rossi Doria, Pasquale Saraceno, Francesco Compagna, è subentrata un’apatia colpevole delle classi dirigenti meridionali, e non solo.  Esse  hanno provato ad affrontare l’enorme problematica a pezzi, secondo interessi territoriali, senza rendersi conto che l’intreccio delle questioni superava l’ambito  campanilistico e regionalistico e doveva essere affrontato per forza di cose a livello meridionale. Insomma, la poca voglia di fare unità ha ancor di più diviso il Sud. Se a tutto questo s’aggiungono le posizioni leghiste, il gioco è fatto.

 Non è che il Nord abbia tutti i torti a considerare il Mezzogiorno un problema per il Paese. Sono tali e tanti gli esempi di malcostume che vengono da questo pezzo d’Italia che elencarli tutti diventa impossibile. La questione vera  è come andare avanti, come procedere con sano pragmatismo lasciando perdere i discorsi demagogici finalizzati ad avere facili consensi. L’ ipotesi cara alla Lega di lasciar perdere i “terroni” al loro destino  è anacronistica e superficiale.  A forza di battere e ribattere sul localismo, la reazione che potrebbe ottenere Bossi ed i suoi è  un rigurgito sudista che non servirebbe a nessuno, tanto meno all’Italia. Un partito del Sud? I partiti locali  se diventano determinanti a livello di maggioranze governative possono assumere caratteri di pericolosità. Perché, proprio in quanto rappresentano interessi di minoranze localistiche, sono costretti ogni giorno a battere la grancassa dell’interesse di parte. Non c’è compensazione con altri pezzi del Paese; con altri interessi a volte contrastanti tra di loro. Non c’è mediazione, che certo scontenta un po’ tutti, ma che alla fine dovrebbe riuscire  a far progredire l’Italia tutta. L’obiezione è che finché il più bravo viene bloccato dallo svogliato o dallo sfaticato non si va avanti. Se il maestro è capace mai frenerà l’intelligenza e la volontà dei più bravi per aspettare i meno dotati. Lavorerà su due binari paralleli, senza penalizzare nessuno.

A leggere i dati del rapporto Svimez sull’economia del Mezzogiorno si resta esterrefatti. Sia per la loro crudezza, sia soprattutto perché sono passati sotto silenzio come se non fossero indici di una pericolosità assoluta per tutti, Nord compreso. 

Nel corso del 2009, sono circa 88mila i posti di lavoro persi nel settore dei servizi al Sud  (1,9% rispetto al 2008), con punte del -3,9% nel commercio, il doppio che al Centro-Nord (- l,7%). Gli investimenti industriali sono crollati del 9,6% nel 2009, dopo la flessione (-3,7%) del 2008. E, come se non bastasse, tra il 1990 e il 2009 circa 2 milioni 385mila persone hanno abbandonato il Mezzogiorno: destinazione principale il Centro-Nord (9 emigranti su 10). Inoltre, una famiglia meridionale su 5 non ha soldi per andare dal medico e ben il 44% delle famiglie, quasi una famiglia su due, non ha potuto sostenere una spesa imprevista di 750 euro (26% al Centro-Nord). A rischio povertà a causa di un reddito troppo basso quasi un meridionale su 3, contro 1 su 10 al Centro-Nord.

I dati si commentano da soli. L’ipotesi che avanza la Svimez,  per provare a tracciare una strategia di contenimento dell’attuale situazione e per programmare interventi strategici per il rilancio del Sud, è quella di affidare il compito progettuale ad  una Conferenza delle Regioni meridionali, in stretta relazione con la Presidenza del Consiglio. Ma se questa interessante ipotesi di percorso non dovesse realizzarsi, forse sarebbe il caso che le forze sociali ed i sindacati ipotizzassero loro, unitariamente, una Conferenza per il Sud. Potrebbe essere un grande stimolo alla politica per spingerla ad affrontare una questione nazionale che diventa sempre più delicata.