non c'è libertà senza passione!

di Elia Fiorillo

Di comunicati stampa si può pur morire. Nel senso che sono tali e tanti quelli che i vari uffici stampa, pubblici e privati, sfornano che se li leggi tutti in un sol giorno ti può venire un coccolone. E non solo per la loro quantità, ma soprattutto per i contenuti. Certo, siamo nel periodo in cui la visibilità sembra tutto. Essere o apparire? La risposta che una volta veniva spontanea era “essere”. Oggi pero’ sembra che se non “appari”, non “sei”, non esisti. E, allora, giù a comunicare l’incomunicabile. Il commento esultante, o avvelenato, all’ennesimo comunicato del ministro tal dei tali che sforna a ritmo industriale notizie non-notizie, prese di posizioni dove la posizione non c’e’ proprio. E la catena dell’informazione basata sul nulla continua senza pause, senza fine. Se provi a differenziarti, ad “essere”, corri il rischio di apparire per quello che non sei: uno non attivo, che non segue il tran tran quotidiano. Insomma, un diverso che non fa parte della comitiva perché non comunica. “Cornuto e mazziato”, per farla breve.

C’e’ poi da analizzare l’effetto sull’utenza. Una volta quello che scrivevano i giornali o diceva la televisione era vangelo per il cittadino medio. Oggi tutto viene visto con scetticismo, come una potenziale fregatura. Il cittadino, non schierato, e’ diventato super critico e prevenuto a prescindere; generalizza tutto in un calderone di preconcetti e di pericolosi luoghi comuni per il vivere civile. Dargli torto? Non si può proprio. Gli altri, gli schierati, accettano senza esitazione tutto quello che viene dal capo partito, in un atteggiamento fideistico da “bollino blu”.

Tutta ​colpa dei giornalisti? Anche, ma non solo. Diceva Benedetto Croce che il vero giornalista ogni giorno “deve dare un dispiacere a qualcuno”. Don Benedetto si riferiva ai soggetti su cui il giornalista scrive, indaga. La verità e’ che bisognerebbe cominciare a dare seri dispiaceri ai “padroni” del giornalista, che sono tanti, se si vuole compiutamente applicare l’aforisma di Croce. Ma come si fa a dir di no alla “catena di comando” formata da editori spuri, direttori non autonomi e via proseguendo? E come si fa ad essere autonomi in mezzo a tanta partigianeria bipolare? Pardon, tripolare. La professionalista’ del giornalista, l’etica può aiutare, ma fino ad un certo punto. O hai organismi di supporto che ti tutelano, che sindacano anche il tuo operato aiutandoti a svicolare dalla morsa dell’informazione su commissione, tipo jukebox – si mette il gettone e si sceglie la canzone che più aggrada -, o sarai in balia di tutti. Meglio, lo Stato democratico sarà in acque tumultuose. Prima o poi il tusnami ci sarà e non farà distinzioni a colpire a destra ed a manca. E’ allora utopico pensare a normative relative alla comunicazione ed al suo mondo, ragionate, che tutelino il sistema democratico e siano il frutto di un accordo bipartisan? Un vero e proprio codice dell’informazione – riforma della legge professionale e conflitto d’interesse compreso – scritto in una Commissione bicamerale apposta costituita? Per vincere, in situazioni del genere, ci vuole tanta pazienza e soprattutto tanta autonomia. Pensare che con ben orchestrate manifestazioni di piazza si avviano a soluzione i problemi, si corre il rischio, anche in buona fede, di essere strumentalizzati dall’opposizione del momento. La stessa che quando era maggioranza ha ragionato tenendo conto dei propri interessi di potere.

​In piena prima repubblica, correva l’anno 1984, Noberto Bobbio parlò di “democrazia dell’applauso” commentando l’elezione per acclamazione dell’allora presidente del Consiglio Bettino Craxi a segretario generale del Psi al Congresso di Verona. “L’elezione per acclamazione non è democratica, è la più radicale antitesi della elezione democratica”, scrisse Bobbio su La Stampa. Forse ai nostri giorni, nel constatare la proliferazione dei comunicati stampa e delle comparsate televisive e dei mille sotterfugi per andare in onda o sui giornali, avrebbe parlato di “Democrazia dell’immagine” o “Democrazia dell’informazione”. L’assurdo è che proprio l’informazione dovrebbe essere il terreno di coltura della democrazia, ma quando questa è manipolata, non obiettiva, scadente, essa stessa diventa la tomba della democrazia.

In piena era internet, quando siamo tutti bombardati da migliaia di notizie, d’informazioni, d’opinioni, di blog di tutti i tipi, c’e’ più bisogno di giornalisti preparati ed autonomi, che riescano a interpretare in senso critico le notizie e porgerle ai lettori. Una mediazione indispensabile tra notizia e lettore per dare a quest’ultimo la possibilità di capire che c’e’ dentro ed oltre la notizia. Non faziosità, ma libero ragionamento critico sempre nell’ottica del confronto delle opinioni. Sembra pero’ che questo ruolo di cerniera interpretativa indispensabile in democrazia sia vista, anche da alcuni editori, superata. Non solo per una questione economica, ma soprattutto per interessi di parte. No, purtroppo il quarto potere non c’e’ più. Ma bisogna che ritorni se vogliamo che quella democrazia che ogni giorno invochiamo ci sia veramente.