non c'è libertà senza passione!

http://comefare.com/come-assumere-la-giusta-postura-davanti-al-pc-1/La vecchia frase sulla democrazia di Winston Churchill fa sempre effetto: “la democrazia è la peggior forma di governo ad eccezione di tutte le altre forme che sono state sperimentate di volta in volta”. Quanto lo statista britannico la pronunciò c’era un mondo diverso. Il Web non esisteva. I cambi epocali non si misuravano in decenni. Altri tempi, insomma. I problemi però per l’attuazione della democrazia reale restano tutti, anzi si moltiplicano. La complessità del sistema sociale porta più facilmente ad eludere, ad aggirare, le “regole” che devono essere alla base del patto democratico. La parola democrazia, ovvero governo del popolo, viene usata in tutte le salse, ma spesso non applicata. È come se nel ripeterla “senza fine” si volesse esorcizzare l’argomento facendolo diventare una realtà già concretizzata, quando di fatto assolutamente non lo è.

Per la verità noi italiani non siamo i soli a “predicar bene e razzolare male”. Siamo tra i pochi però ad avere dei partiti politici con connotazioni che possono lasciare a desiderare dal punto di vista della loro gestione democratica. L’art. 49 della Costituzione è tra i più brevi di tutta la Carta costituzionale, non di meno però d’importanza rilevante per la vita della Repubblica. Esso testualmente stabilisce che :“Tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale”. I partiti, quindi, nella loro indispensabilità sono delle associazioni non riconosciute, a differenza delle organizzazioni sindacali a cui è imposto, in base all’art. 39 della Carta costituzionale, di avere statuti che “sanciscano un ordinamento interno a base democratica”. Si può ben comprendere il perché i padri costituenti hanno evitato d’mporre la forma della “personalità giuridica” ai partiti. Tra l’altro per scongiurare ingerenze da parte dei poteri dello Stato nell’azione di controllo, che poteva limitarne la libertà d’iniziativa. Il punto però è come evitare di trovarsi difronte a forme di assoluta mancanza di liberalismo interno, che può degenerare in vero e proprio leaderismo padronale. Insomma, se i partiti sono il trampolino di lancio della democrazia, appunto, per determinare le politiche nazionali, una mancanza di dibattito interno, di assolutismo dirigenziale, non può che sclerotizzare tutto il sistema.

Se a questo ragionamento si aggiunge la vicenda – tanto brutta e delegittimante – dei “rimborsi elettorali” il quadro negativo è di tutta evidenza.

Una riflessione a parte va dedicata alla cosiddetta “democrazia del Web”. Il Web può e deve essere un mezzo formidabile di conoscenza al fine di aiutare i processi democratici a tutti i livelli. Una volta si sosteneva che “l’informazione è potere”. Lo è la notizia, il ragguaglio che viene dalla “Rete”, ma se è riscontrato con oggettività per accertarne la veridicità. Uno dei compiti del giornalista è, tra l’altro, verificare, valutare per poi informare l’opinione pubblica. Se ci si illude però che la vera democrazia passa direttamente dalle notizie, o dai sondaggi, o dalle designazioni che vengono da Internet, senza regole condivise, ma imposte arbitrariamente da una sola parte, allora si vuole imbrogliare. Esempi recenti di quanto testé asserito ci vengono dalla consultazione via Web per l’indicazione del candidato alla presidenza della Repubblica.

Oggi alcune forze politiche, per dare il senso del cambiamento di rotta, congetturano l’azzeramento dei “rimborsi elettorali” che in altri termini possono essere visti come il vecchio “finanziamento pubblico” dei partiti abrogato con un referendum, voluto e vinto dal Partito Radicale nel 1993, con ben il 90,3% dei voti espressi a favore appunto dell’abrogazione. Forse sarebbe il caso, al di là di rivedere la norma sui rimborsi, che deve certamente essere riscritta nell’ottica del sostegno con agevolazioni ai partiti ed i movimenti, ma senza garantire in alcun modo le strutture e gli apparati degli stessi, che devono essere autofinanziati dagli iscritti e dai simpatizzanti. Probabilmente, meno enfaticamente ma più concretamente, per dare una svolta all’attuale situazione dei partiti, ci sarebbe bisogno di normare l’art. 49 della Costituzione. E si potrebbe procedere legando le agevolazioni economiche all’adozione di statuti che espressamente prevedano ordinamenti interni “a base democratica”. Ciò, tra l’altro, dovrebbe significare rotazione nei ruoli dirigenziali che non potranno essere a vita.

Non sarà certamente facile per il neo presidente del Consiglio, Enrico Letta, disbrigare le tante rogne istituzionali – e non – che sono sul suo tavolo di lavoro. Se però vorrà dare al Paese l’idea vera del cambiamento, al di là delle tante iniziative ad effetto che gli vengono proposte, bisognerà che parta proprio con un disegno di legge ad hoc per l’applicazione dell’art. 49 della Costituzione. Uno strumento importante per ridare fiducia all’opinione pubblica nei partiti che rimangono strumenti essenziali ed insostituibili per la realizzazione del “governo del popolo”.

di Elia Fiorillo