non c'è libertà senza passione!

Una Ronda non fa primavera

Vignetta di Elena Manzini

di Elia Fiorillo

Passato il momento dell’emotività e della contrapposizione  interessata, credo sia ora  possibile fare delle riflessioni pacate sul decreto legge “antistupro” dello scorso 23 febbraio. In particolare sulla parte che parla di “ronde”.  C’è un vecchio detto che asserisce che “chi semina vento, raccoglie tempesta”. Spingere troppo l’acceleratore sulla propaganda elettorale in modo demagogico, ipotizzando soluzioni d’immagine,  non porta poi ai risultati sperati. Anzi.  La politica è soprattutto “gestione”, concretezza. Purtroppo sempre più i cittadini vedono la “pratica del governo” come qualche cosa di falso e soprattutto fumoso.   Il problema,  non solo nel caso delle ronde, è dare alla “polis” cose che funzionino e che abbiano riscontri di cambiamento reale.

            L’argomento ronde segue quello dell’esercito in strada ed entrambi fanno capo alla più generale e complessiva questione sicurezza. Nelle discussioni tra comuni cittadini si ritrova sempre più spesso il bisogno  di sicurezza che si trasforma, a seconda dei casi e delle situazioni negative che si vanno a verificare, in rabbia, rigurgiti di giustizia sommaria, razzismo. Non è facile, nella pentola che bolle, distinguere i tanti sentimenti contrastanti che gli italiani vivono, alcuni dei quali vanno sicuramente riprovati e non rispondono né all’indole, né alla storia, né alla cultura della popolazione di questo Paese. Certo non serve assecondare, accentuandoli, gli impulsi viscerali che delicati argomenti possono tirarsi dietro.  Bisogna stare attenti alle facili suggestioni folcloristiche che non risolvono le difficoltà, anzi le aggravano.

            Le ronde sono un placebo inutile e dannoso perché  illudono e confondono  il cittadino sulla possibilità che esse possano svolgere  azioni d’intervento d’ordine pubblico. Il rischio poi che  le associazioni di cittadini, previste dal decreto legislativo,    debordino dai compiti di osservazione ed allertamento che il provvedimento prevede, sotto la spinta dell’insicurezza delle popolazioni, è molto elevata. Per non citare poi la colorazione politica che già esse in alcune parti d’Italia hanno assunto, fino al punto di  contrapposizioni tra  gruppi di diverso  orientamento politico. Se, allora, la funzione delle aggregazioni di cittadini è quella di allertamento per “eventi che possono arrecare danno alla sicurezza urbana, ovvero situazioni di disagio sociale”, non si capisce perché tali associazioni debbano essere riconosciute con una procedura complessa che investe diversi livelli amministrativi dello Stato fino ad arrivare al Comitato provinciale per l’ordine e la sicurezza pubblica O, pur non ammettendolo, il Governo teme derive pericolose e, quindi, s’attrezza per ben comprendere da chi sono formate le associazioni dei cittadini a cui si affidano compiti di “vedetta”; o c’è l’ipotesi non dichiarata di utilizzare in futuro le ronde con mansioni diverse da quelle attualmente manifestate.  Nell’uno e nell’altro caso l’errore è grande e pericoloso: nel primo, perché pur capendo i rischi, solo per accontentare alcuni territori con  le loro fisime autonomistiche,  anche in fatto di ordine pubblico, si dà il placet a possibili bombe ad orologeria; nel secondo caso perché si attenta al dettato costituzionale in quanto le prerogative  in materia di ordine pubblico e sicurezza, ad esclusione della polizia amministrativa locale, sono dello Stato, a norma dell’art. 117 della nostra Carta costituzionale.

            Nel Mezzogiorno poi, dove interi pezzi di territorio sono controllati da società malavitose, ci potremmo trovare di fronte ad organizzazioni di cittadini, ben strutturate e autofinanziate, che svolgono azioni di controllo del territorio non per lo Stato, ma per l’anti-Stato, appunto per le diverse mafie di cui è costellato il territorio meridionale. Non a caso infiltrazioni malavitose  sono state riscontrate anche in strutture di vigilanza privata.

            Più che mettere in discussione capisaldi del nostro ordinamento costituzionale, meglio sarebbe riflettere con equilibrio, ma con la determinazione di voler cambiare, sullo stato delle nostre forze dell’ordine.  Forse è il caso di ragionare sulla razionalizzazione e sul coordinamento delle varie forze di polizia. Com’è necessario distinguere i ruoli di polizia giudiziaria e di burocrazia – nell’accezione non negativa del termine – giudiziaria. Troppi poliziotti sono relegati a compiti d’ufficio che potrebbero essere affidati ad impiegati non specificamente addestrati in mansioni di pubblica sicurezza.

            Se i cittadini vogliono aiutare concretamente lo Stato, più che “attenzionare”  i “disagi sociali”, possono aderire ad associazioni di volontariato che intervengono per modificare i tanti disagi sociali di cui le nostre città sono piene. Per fare questo non c’è nemmeno bisogno dell’autorizzazione prefettizia.