non c'è libertà senza passione!

Manifestazione PD ph Teresa Mancini

Ph Teresa Mancini

Capo dello Stato E’ incavolato nero Pier Luigi Bersani. Il carattere sanguigno romagnolo lo porta a sbottare, dopo tanto autocontrollo, contro il sindaco di Firenze, Matteo Renzi, reo di essere arrogante. Ma anche contro quelli che non capiscono che ci vuole un “governo di cambiamento”. Dall’altra parte della scena, Silvio Berlusconi, è raggiante nell’accusare il Pd d’irresponsabilità per non dar vita subito ad un governo di larghe intese per salvare il Paese. Ormai i ritornelli sono sempre gli stessi. Unica novità è la prossima elezione dell’inquilino del Colle che potrebbe sbloccare una situazione di stallo insopportabile. Potrebbe cambiare tutto se nella prima giornata di votazioni per l’elezione del nuovo capo dello Stato la fumata fosse bianca. Vorrebbe dire che i partiti hanno preso coscienza che per il momento il vero cambiamento sta nel dare all’Italia un presidente della Repubblica condiviso, veramente garante dell’unità nazionale. Il seguito sarebbe “una passeggiata”, come si usa dire. Un segnale d’unità benefico anche sul piano internazionale, per non parlare dei mercati. Eppure il bisogno d’unità sollevato a gran voce anche dalle parti sociali sembra cadere nel vuoto. E’ come se il sistema politico fosse ipnotizzato da parole d’ordine e comportamenti legati, da una parte a logiche da campagna elettorale e dall’altra all’egoismo dei leader per il loro posizionamento personale.

C’è bisogno di un salto di qualità nell’unità d’intenti per combattere soprattutto il declino, che come un’ombra sta avvolgendo il nostro Paese. Nell’immaginario collettivo del mondo il Made in Italy esiste ancora e non è solo legato ai fiori all’occhiello della nostra industria. La prova viene dalle imitazioni dei nostri prodotti più significativi. L’Italia resta ancora “caput mundi” in fatto di siti archeologici e di cultura. Un business che potrebbe essere eterno, ai fini dell’occupazione e dello sviluppo, ma che non decolla com’è messo in una melma di burocrazia, d’incompetenza, d’affarucci personali.

I saggi facilitatori escogitati da Napolitano, come suo ultimo atto da presidente della Repubblica per dare un Esecutivo all’Italia, potevano essere un buon escamotage per consentire a Bersani di riflettere su di un accordo con il Pdl ed anche per avere a disposizione contenuti condivisi al programma del governo di cambiamento. Forse il presidente Napolitano, se avesse avuto sentore di disgelo tra le due “B” della politica italiana, Bersani e Berlusconi, dopo la relazione dei saggi, avrebbe rimesso in campo il capo del Pd, certo che anche sul nome del nuovo presidente della Repubblica un’intesa ci poteva essere. Il fermarsi di Re Giorgio non fa presagire niente di buono. Tutto dipenderà ormai dai grandi elettori che si riuniranno Giovedì prossimo.

Beppe Grillo ed il suo movimento sono diventati un “anatema” politico vivente che certo colpisce gli avversari, ma per converso ritorna a casa paralizzando qualsiasi ipotetica iniziativa, anche la più meritevole, dei “cittadini” e delle “cittadine” parlamentari. Se il calcolo è quello di dire sempre no per avere le mani libere e arrivare alle elezioni intonsi, allora non ci siamo proprio. Sia perché i risultati elettorali per Grillo e company saranno deludenti, ma soprattutto perché avrà fatto perdere agli italiani una buona occasione per una riforma dal basso della politica.

Tutto si può dire del Cav. Berlusconi, ma che non sia un tempista-opportunista, questo proprio no. “Un governo forte o elezioni subito” è il titolo della manifestazione organizzata dal Pdl a Bari. L’obiettivo dell’iniziativa era duplice. Pressing su Bersani perché decida “cosa farà da grande”, ma anche l’inizio della campagna elettorale che verrà. Il cerino in mano, quasi completamente consumato, sa bene di avercelo Pier Luigi. Deve decidere che fare per evitare una bruciatura non cicatrizzabile, sia per lui che per il Pd. Da vincitore delle primarie, con un partito che riconosce ed apprezza il suo capo, a perdente-vincente (sic) della fase elettorale e post, con lo strascico dei conseguenti classici distinguo e mal di pancia, anche degli uomini a lui più vicini. Che farà allora Bersani? Il rischio forte è che rimanga sulle sue posizioni procedendo allo stesso modo – nella sostituzione di Napolitano – delle elezioni dei presidenti di Camera e Senato. Se, invece, proverà a riflettere sul termine “arrogante” con cui ha apostrofato Renzi, forse potremmo avere d’amblè un nuovo presidente della Repubblica ed un nuovo presidente del Consiglio condivisi dalla maggior parte del Parlamento. Al di là dei voti del Pdl e di chi ci starà, Bersani il governo di “cambiamento” potrebbe ottenerlo soprattutto imponendo ai suoi alleati uomini nuovi, vere gambe forti, su cui far camminare i programmi di riforma individuati anche dai saggi di Napolitano. Tutto bene quello che finisce bene? Lo speriamo per l’Italia.

di Elia Fiorillo