In Iran dall’inizio della presidenza di Rouhani, secondo l’organizzazione umanitaria “Nessuno tocchi Caino” almeno 2.277 prigionieri sono stati giustiziati (tra il 1° luglio 2013 e il 15 gennaio 2016). È il numero di esecuzioni tra i più alti nella storia recente dell’Iran, che lo classifica come il primo “Paese-boia” del mondo in rapporto al numero di abitanti.
Hassan Rouhani, presidente della Repubblica Islamica, in questi giorni in visita ufficiale in Italia, fu eletto il 14 giugno del 2013. Molti osservatori internazionali si dichiararono allora ottimisti per un auspicato cambio di rotta dell’Iran sul piano dei diritti umani. Un atteggiamento fiducioso smentito dal numero delle condanne a morte praticate.
Qualche anno fa, nel maggio del 2009, abbiamo seguito la triste odissea di Delara Darabi, accusata a diciassette anni di un presunto delitto. Il giudice aveva concesso una proroga alla sua impiccagione, in attesa che i parenti della vittima riflettessero sulla concessione del perdono. Fu giustiziata a ventitré anni, senza preavviso e senza aspettare il pronunciamento dei familiari dell’ucciso. Ma, anche, senza avere la possibilità d’incontrare i suoi congiunti prima della morte. Le fu concessa solo una telefonata qualche minuto prima che il cappio l’uccidesse. Forse al regime di allora dava fastidio la sua notorietà di pittrice o, chissà, quella popolarità che la giovane donna aveva fu strumentalizzata per fare notizia. Per lanciare l’ennesimo monito alla popolazione, nell’ottica della gestione del potere.
Chi è stato in Iran e ha visitato città come Teheran e Shiraz ad esempio, ha avvertito soprattutto lo scorrere lento e sereno della vita di tutti i giorni. Un brulichio di commerci, d’iniziative, di traffici dove anche la donna ha un ruolo determinante, anche se non riconosciuto. E quando hai la possibilità di confrontarti, di conversare, con quelle donne, abbigliate con abiti per noi anacronistici, ma con visi curati e truccati come non né trovi nemmeno in Occidente, allora ti rendi conto che una rivoluzione culturale è in atto. Sì, c’è ancora il divieto che le donne possano parlare in pubblico, nei tram gli uomini hanno scompartimenti riservati mentre le donne sono assiepate da un’altra parte, e via dicendo. Però, appena osservi le donne mentre si confrontano liberamente con l’altro sesso, quello dominante (sic!) – il maschio è maggiorenne a quindici anni, la donna a solo nove -, ti rendi conto che il passo per un radicale cambiamento è possibile. La sharia certe licenze non le prevede, ma esse ci sono e appaiono sempre più segni di una lenta ma inesorabile rivoluzione culturale. L’accordo sul nucleare raggiunto tra l’Iran e i paesi del cosiddetto “5+1″, cioè i membri del Consiglio di Sicurezza dell’ONU con potere di veto (Regno Unito, Francia, Stati Uniti, Russia e Cina) più la Germania, aiuterà il processo di avvicinamento all’Occidente, in particolare per la caduta di certe sanzioni.
Sulla tematica dell’energia nucleare la propaganda di regime dell’ Iran aveva lavorato molto sulla popolazione, portando a casa ottimi risultati. Se aprivi il confronto su questo argomento uomini e donne, emancipati o meno, ti guardavano esterrefatti nella certezza che l’Occidente, l’odiata America, non volesse il progresso dell’Iran: lo voleva schiavo. La stessa indignazione non veniva fuori però se toccavi la questione dei diritti civili: nessuno aveva intenzione di approfondire la faccenda, per paura, per dissenso, per pudore.
Non è sempre vero che un popolo si merita il governo che ha. Nelle democrazie compiute è così. Per i regimi dittatoriali questo ragionamento non vale. Nello scacchiere mondiale l’Europa per l’ Iran può far molto, accelerando il salto in avanti che quel popolo già sta tentando di fare. Mai abdicando alla denuncia ferma e costante dei crimini efferati contro la persona umana, ma evitando di accomunare – facendo di tutt’erba un fascio – i carnefici con le vittime.
Più che le guerre, il finanziamento di azioni rivoluzionarie o cose del genere, la cosa che sul medio lungo-periodo risulterà vincente è la “contaminazione culturale”. Bisogna trovare i modi giusti perché ciò possa avvenire, nella scelta libera e condivisa delle popolazioni, al di là dei regimi. Solo così in certe aree geografiche del globo si potrà cambiare pagina.
di Elia Fiorillo