non c'è libertà senza passione!

di Adriana Matone

C’è la crisi, le persone scendono in piazza ad urlare il loro disagio, le catastrofi naturali peggiorano la situazione e le sicurezze degli Italiani crollano.
Sì, Italiani, al maschile, perché proprio loro, gli uomini italiani di questo periodo storico, stanno perdendo ogni controllo, fisico ed emotivo. E il loro disagio si scaglia subito su chi gli sta più vicino: le Donne.
Mogli, fidanzate, figlie che con devozione, attenzione, dolcezza e forza stanno accanto a loro tra le pareti domestiche, sono le più colpite; in Italia, infatti, la prima causa di morte per le donne tra i sedici e i quarantanove anni è la violenza di mariti, compagni, ex-fidanzati o padri violenti.
Dall’inizio del 2012 sono quasi sessanta le vittime della violenza maschile ed inoltre siamo il paese europeo con il più alto tasso di delitti in famiglia, quasi tutti perpetrati contro le donne.
Secondo i dati in 769 casi il maltrattatore è il coniuge o il compagno, in 308 un ex compagno o ex coniuge, in 118 un amico e solo in 39 uno sconosciuto.
Un bilancio, certificato dalle denunce, che cancella anche molti luoghi comuni.
Primo fra tutte che i casi di violenza non siano affatto da assimilare a situazioni di particolare disagio e precarietà: il fenomeno riguarda infatti per lo più donne italiane, 842 rispetto alle 307 extracomunitarie, che hanno un lavoro (i dati indicano 607 occupate, 196 disoccupate, 174 casalinghe, 39 pensionate e 27 studentesse) e che appartengono ad una fascia d’età che sottolinea una condizione di stabilità e maturità.

Purtroppo dobbiamo constatare che la nostra nazione si fonda ancora su una cultura maschilista tale per cui i maschi, forse chiamarli uomini è troppo, tendono a considerare la propria femmina come una proprietà, da trattare come un oggetto privo di autonomia, volontà e dignità, da continuare a possedere con qualsiasi mezzo disponibile, anche con la violenza. Il maschio dunque possiede ed acquisisce il suo status sociale di capo intorno a cui ruota tutto: se questo ruolo traballa, viene messo in discussione, se il rapporto di coppia si logora, si sente autorizzato a reagire in qualunque modo, spesso drammatico, pur di mantenere tutto intorno a sé.
Non è un caso, dunque, se un omicidio su due avviene nelle tre maggiori regioni del Nord, Piemonte, Lombardia e Veneto, dove il lavoro femminile è più diffuso e più forte è l’aspirazione delle donne all’autonomia. Non è un caso se il momento più a rischio si rivela quello della separazione o della chiusura di un rapporto.

Ma è arrivato il momento di dire basta e di chiamare questi crimini con il loro vero nome: Femminicidi e di non lasciare cadere nell’indifferenza le storie di queste donne uccise da chi è incapace di accettare la loro libertà.

La petizione «Mai più complici», promossa nei giorni scorsi dal gruppo «Se non ora quando» e dalle giornaliste e scrittrici Loredana Lipperini e Lorella Zanardo , chiede al governo e alla società civile di mobilitarsi e di mettere in campo azioni concrete per fermare la violenza contro le donne in Italia e ai mezzi di comunicazione di cominciare a chiamare questi episodi con l’unico nome che spetta loro, «femminicidio» appunto.

L’unica certezza, per il momento, è che chi ti alza le mani è uno stronzo.