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MIELE  regia di Valeria Golino, www.ilcorrieredelledonne.netCosì si intitola il primo film di Valeria Golino, una delle più grandi attrici italiane, che ha deciso stavolta di stare dietro la macchina da presa. La regista ha scelto come protagonista del suo debutto Jasmine Trinca, che ha esordito con Nanni Moretti nel suo La stanza del figlio del 2001. Sono passati dodici anni dal suo esordio ma la giovane attrice italiana, classe 1981, mantiene la freschezza e la spontaneità dei primi ruoli che l’hanno resa nota al grande pubblico cinematografico.

Miele è un film importante perché la Golino ha deciso di misurarsi con una tematica scottante: il suicidio assistito. Irene (Jasmine Trinca) è una trentenne che aiuta le persone che soffrono: malati terminali che premono per avvicinare la morte e porre fine all’agonia, perché sentono di aver perso la loro dignità di esseri umani. Un giorno, però, un settantenne in buona salute (Carlo Cecchi, uno dei più grandi attori del teatro italiano) chiede l’aiuto di Irene e sarà proprio quest’incontro a mettere in discussione le sue convinzioni. Questo film si ispira liberamente ad un romanzo dal titolo Vi perdono di Angela Del Fabbro (alias Mauro Covacich). La regista alla sua prima prova ha scelto di trattare una tematica forte che, come afferma lei stessa in un’intervista, le persone sentono molto, a differenza delle istituzioni che, miopi, sembrano volerla ignorare. La pellicola, invece, apre una breccia importante nel silenzio. Perché parlare di eutanasia, di fine vita significa, in fondo, parlare della bellezza della vita stessa. Questo film ha goduto di un grande trampolino di lancio: il festival di Cannes dove è stato in concorso nella sezione, Un certain regard, e ha ricevuto la menzione speciale della Giuria Ecumenica. Il festival francese ha dato la giusta visibilità ad una storia «molto contemporanea, senza ammiccamenti al pubblico, emozionante ma mai melodrammatica», come sostiene Riccardo Scamarcio, compagno della Golino e produttore del film. In fondo, la pellicola parla di cronaca, di attualità, di questo bisogno di morte (o di vita?) sentitamente diffuso, ma la Golino affronta questo tema con una grazia delicata. Non prende alcuna posizione al riguardo e racconta con mano potente ma allo stesso tempo leggera un disagio collettivo e latente.

 

di Chiara Selleri