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Napoli Via S. Gregorio Armeno
Napoli, Via S. Gregorio Armeno

Napoli ore 10. Il corteo delle varie sigle di disoccupati organizzati sfila per via Medina. C’è il gruppo degli storici e quello di più recente costituzione. Tutti gridano il loro bisogno di lavoro, nonché truculenti slogan contro i governanti del momento: ” Berlusconi, Fini, Bossi…farete la fine di Mussolini”. Nessuno dei passanti si scompone più di tanto alla vista ed ai suoni della fiumana colorata e vociante che paralizza inesorabilmente il traffico, già in tempi normali caotico. Plasticamente il corteo ed i pedoni danno l’idea di due Napoli, che si guardano, si scrutano e nell’assoluta indifferenza s’ignorano. I problemi degli uni non sono quelli degli altri e viceversa. E così anche alle Vele di Scampia, cuore del malaffare di Napoli e dell’interland vesuviano. Alcuni napoletani raccontano di aver provato sommo fastidio nel guardare il film Gomorra, tratto dal fortunato libro di Saviano. Altri, quasi come atto di protesta, hanno abbandonato la sala dove si proiettava l’opera cinematografica. I traffici, la droga, la prostituzione, i tanti morti ammazzati, anche donne, sembrano cose di un altro mondo, del lontano terzo mondo, non di Napoli. Eppure sono fatti veri che avvengono ad un tiro di schioppo dalla bella Partenope, quella degli hotel di lusso sul lungomare che tanto soffrono per l’immagine nerofumo che è calata sulla città per via della spazzatura e dei tanti crimini che, ormai, non si contano più e che non fanno nemmeno più notizia. Due Napoli parallele che nel bene e nel male non s’incontrano. Meglio s’ignorano fin quando è possibile; finché l’una non tocca gli interessi dell’altra. Il film Gomorra, con i sottotitoli in italiano per tradurre il gergo malavitoso ostico anche agli stessi indigeni, con la sua spietata fotografia di un modo di vivere e di essere, dà fastidio alla Napoli perbenista che non vuol vedere, né sapere e che ripete ad oltranza che bisogna finirla di rappresentare a tinte fosche una città che non è solo camorra. Il tema da invocare non è tanto la rappresentazione, per altro veritiera di una realtà, ma come modificarla, come impegnarsi per cambiare pagina. Dall’altra parte ci sono i ragazzi di Scampia, abituati a sopravvivere in un quartiere dove la camorra regna incontrastata con le sue leggi spietate e sanguinarie. Ragazzi come gli altri che però hanno avuto la sfortuna, loro malgrado, di assorbire subculture terribili, miti anacronistici, riti bestiali. Non si nasce delinquenti, lo si diventa.
Pensate al dramma delle mamme di Scampia o di Torre Annunziata o dei tanti quartieri dove la camorra regna sovrana. Anche nelle loro più anacronistiche credenze non potranno mai accettare la mattanza dei propri figli. Vorrebbero sperare in qualcosa che non è delinquenza organizzata, camorra. Ma a che cosa attaccarsi? A cosa credere se in queste terre l’anti stato è vincente? Il vero problema è come rompere il ghetto, come tessere una tela non di odio, né d’indifferenza tra due realtà che finché resteranno divise non faranno fare la svolta di futuro di cui Napoli ha bisogno. Bisognerà lavorare anche sulle mamme di Scampia per tentare di infrangere l’isolamento.
La richiesta di sicurezza che viene dai cittadini non si soddisfa solamente con i presidi di polizia, né con l’esercito. C’è bisogno che la politica faccia la sua parte; che svolga un ruolo di cerniera tra quella che si definisce società civile e l’altro pezzo di società, che non può essere segregata. La contaminazione culturale può avvenire spostando, ad esempio, pezzi d’Università a Scampia, irrobustendo le scuole, mandando in quelle trincee le donne e gli uomini migliori delle istituzioni, ma anche dei movimenti. Insomma, investendo in cultura.

E.F.