non c'è libertà senza passione!

di Elia Fiorillo

            Di pensieri che gli frullano in testa ce ne ha tanti. Ma, forse, quello diventato più opprimente nell’ultimo periodo era legato ad un evento simbolico, di grande significato storico e politico: la festa dei 150 anni dell’Unità d’Italia. Un compleanno di quelli che vanno festeggiati solennemente, non solo perché capitano una volta tanto, ma soprattutto perché racchiudono l’essenza di un percorso di vita, di pensiero, d’azione, di sacrificio, di buona fede, di errori di un intero popolo. E lui, Giorgio Napolitano, presidente della Repubblica Italiana, lo sapeva bene. Come era ben consapevole che una ricorrenza del genere non si poteva festeggiare a metà. Nessuna parola però d’invito al Governo per suggerire o ipotizzare soluzioni difronte alle spaccature che l’evento,  che per sua natura doveva essere foriero d’unità, si stava trascinando dietro. Silenzio e basta. Certo, amarezza. Sicuramente voglia repressa d’esternare il cruccio che gli aumentava giorno dopo giorno nell’animo a sentire esponenti del Governo contrari ad onorare il compleanno dell’Italia unita: per ripicca, per calcolo politico, per disinteresse, per interessi di bottega. Apprezzava sicuramente le preoccupazioni di Confindustria e di alcuni sindacati impensieriti dai risvolti economici dell’evento sulla crisi. Non c’erano dietrologie o falsi obiettivi in quelle esternazioni. Alle preoccupazioni di ordine finanziario  aveva ben risposto Giuliano Amato, presidente dei garanti per le celebrazioni dei 150 anni, si poteva organizzare l’anniversario in modo diverso. Scuole ed uffici pubblici aperti insieme alle strutture produttive. Nelle scuole quel giorno sarebbe stato dedicato all’approfondimento del Risorgimento, con la proiezione di film e dibattiti; nelle imprese – le commemorazioni fatte magari dai sindacati – il ricordo dell’evento avrebbe comportato solo  un paio d’ore di blocco della produzione. Insomma, una mediazione onorevole. Poi un po’ di luce è venuta. Anche se non a maggioranza il Governo ha varato il decreto che sancisce, per una sola volta, che il 17 marzo è festa nazionale perché l’Italia unita compie i suoi 150 anni d’età. Il due giugno poi ci sarà il momento più importante delle celebrazioni, con la partecipazione di 69 Capi di Stato, Papa compreso.

             All’emanazione del decreto governativo  il Presidente avrà certamente tirato un bel sospiro di sollievo. E, quindi, ha  deciso di prendere carta e penna ed inviare una lettera al giornale “La Repubblica” nella quale afferma tra l’altro: “Quello che conta e’ che ci sia piena e attiva consapevolezza, a tutti i livelli istituzionali, del significato delle celebrazioni di questo storico anniversario: e cioè’, della necessita’ di farne occasione di riflessione seria e non acritica, e insieme decisa valorizzazione di tutto quel che ci unisce.” 

            Ricordo Papa Roncalli quando ripeteva, a proposito di laici e cattolici, “vediamo quello che ci unisce, non quello che ci divide”. E’ un metodo sempre vincente questo, soprattutto in politica. Quando c’è però l’intima, profonda volontà di costruzione, al di là degli interessi personali e di parte. Quando c’è la buona fede e la presunzione del “voler lasciare il mondo un po’ migliore di come l’abbiamo trovato” (Robert Baden-Powell). E non pensare che tutto cominci e finisca con la nostra azione, con la nostra opera.

            Risolto il pasticcio della festa dell’Unità, per Napoletano se ne presentano altri molto più complessi e delicati. Lui è visto opportunisticamente, un po’ da tutto lo schieramento politico italiano, con occhi strabici. Tutti chiedono il suo intervento quando gli conviene. E giù a tirar la giacca perché non venga firmato tal decreto o legge o, per converso, perché lui intervenga a sollecitare dimissioni o altro. O, ancora, lo si elogia per farlo apparire di parte. Volutamente si dimentica che il Capo dello Stato è il garante dell’unità nazionale. Lui, il Presidente, prova a mettercela tutta  nel far rispettare la Costituzione. La “moral suasion” è la sua arma preferita. Ma quando questa non funziona non tentenna a prendere decisioni drastiche.

            Chissà se il Presidente ha avuto la possibilità di andare a teatro, a Napoli al Teatro Mercadante, e godersi l’orchestra del Teatro San Carlo diretta da un maestro sui generis, Toni Servillo. Più che dirigere l’orchestra, che va per conto suo, impazzita nell’individualismo degli orchestrali, Servillo pensa, riflette. Prova a mettere ordine nei suoi pensieri. Il titolo dell’opera  è “Sconcerto”.