non c'è libertà senza passione!

Nessuna tregua tra le Comunali appena concluse e il Referendum costituzionale previsto per  ottobre. Nemmeno il tempo per tirare un sospiro di sollievo per chi ha vinto.

Né per rimettere un po’ d’ordine tra pensieri e  stati d’animo tra chi ha perso. Tutto di corsa.  I risultati dei ballottaggi di domenica diventano le armi di difesa o  d’attacco, secondo il verdetto delle urne, per gli opposti schieramenti.

A Roma il Movimento Cinque Stelle ha fatto cappotto. Il Pd ha provato in tutti i modi a ridurre il divario tra  la favorita Virginia Raggi e il suo Roberto Giacchetti. Niente da fare. Il passato ha pesato molto sul risultato finale. E non poteva essere diversamente dopo le vicende che hanno visto i democrat togliere la fiducia al sindaco Ignazio Marino e  la brutta storia di Mafia Capitale: gli elettori puntavano alla totale discontinuità con i partiti tradizionali.

Da una quasi certezza, la vittoria nella Capitale d’Italia, ad una tenue lontana speranza,  quella di poter sostituire  a Torino un Pd consolidato,  con alla guida un “cavallo di razza” come Piero Fassino. Il sogno è diventato realtà per i Pentastellati. E la misura del dramma vissuto dal Partito democratico torinese è nel volto  di Fassino  quando attonito, nel constatare la vittoria di  Chiara  Appendino, sottolinea l’apporto determinante che il nuovo sindaco ha avuto dal centro-destra, che ha fatto confluire su di lei i suoi voti.

A Milano si può dire che la partita che valeva il campionato è stata giocata fino all’ultimo secondo. Ha vinto di stretta misura il candidato voluto da Matteo Renzi,  Beppe Sala che in volata supera Stefano Parisi che fino all’ultimo ha creduto di potercela fare portando a casa, oltre la carica di sindaco,  altri due risultati: la messa in crisi del Partito della nazione e del suo ispiratore, e la nascita di un nuovo centro-destra, “unico e unitario”.

Già si sapeva come sarebbe andata a finire a Napoli. Vittoria schiacciante per Luigi De Magistris che già pensa di poter esportare la sua “rivoluzione arancione” al resto del Paese. Il suo nemico giurato, Matteo Renzi, se la dovrà vedere con lui. Non solo perché nella bella Partenope lui è riuscito a stracciare le ambizioni di Valeria Valente, e di chi l’aveva voluta candidare, ma perché – a suo avviso –  queste elezioni sono la dimostrazione della voglia di cambiamento di un elettorato stanco dei “soliti noti” che sanno solo rivoltare la frittata, senza cambiare pietanza.

Il presidente del Consiglio e segretario del Pd non può che ammettere la sconfitta e però, continuando nel suo stile di rottamatore incallito, precisando a scanso di equivoci  che non ha nessuna intenzione di dimettersi, afferma categorico  che “Renzi ha perso perché non ha fatto abbastanza Renzi”. Insomma, un proclama di guerra soprattutto verso la minoranza del suo partito che certo proverà ad addossare al premier tutte le responsabilità della sconfitta. Una resa dei conti prima dell’appuntamento referendario che agevolerà solo i nemici del Pd.

Che succederà ad ottobre? Troppe le variabili in campo per ipotizzare un pronostico minimamente attendibile. Entrambi gli schieramenti sanno che vincere l’appuntamento referendario significa governare il Paese per almeno un quadriennio. I democratici, malconci e divisi tra renziani e bersaniani, comunque un leader l’hanno, cosa che manca nel centro-destra. La lotta tra Berlusconi e Salvini continua, ma di fatto annulla entrambi nella futura leadership del partito “unico e unitario” che può vincere sulle aggregazioni di sinistra e soprattutto sull’avanzata dei Pentastellati. L’esperimento di Milano, con la candidatura a sindaco di Parisi, riportato su scala nazionale potrebbe essere la carta vincente per un centro-destra che ha bisogno di unità se vuole giocare un ruolo di primo piano.

I veri vincitori, al di là di tutto, di questa tornata elettorale sono i Cinquestelle. Se riusciranno a governare secondo le promesse e le aspettative dei cittadini allora per loro aspirare a diventare inquilini di Palazzo Chigi non sarà una chimera.

Tre mesi impegnativi per tutti quelli che ci separano dal confronto sul Referendum costituzionale. E la parola che più può dare speranze di vittoria  ai renziani, berlusconiani, salviniani, grillini, ecc. è “unità”. Vincerà chi riuscirà non solo a declamare ma a mettere in pratica questa semplice parola.

di Elia Fiorillo