non c'è libertà senza passione!

Sono lontani i tempi quando nel Pd tutti insieme appassionatamente votarono Sergio Mattarella a presidente della Repubblica.

Uno schiaffo in pieno viso all’ex Cav. Silvio Berlusconi e al Patto del Nazzareno che conseguentemente si scioglieva come neve al sole. L’unità del partito prima di tutto era il leitmotiv che risuonava tra le tante anime democrat , anche se i più si domandavano quanto sarebbe durato quel momento magico. Quell’unità, per converso, aveva portato scompiglio nelle file forziste, con il Capo carismatico in confusione  e alcuni fidi furieri, tra cui Denis Verdini, con le valigie pronte per nuovi lidi di “potere”.

La musica da allora è cambiata nel Pd . L’unità l’invoca solo qualche idealista stralunato. Il resto del partito sa bene che le tante fratture avvenute tra la maggioranza e la minoranza sono insanabili. La “ditta” non è più unica. Ci sono due visioni inconciliabili di Partito democratico. Quella che fa capo al segretario, e presidente del Consiglio, che ipotizza un Partito della Nazione dove il tessuto connettivo non sia l’ideologia, ma il seguito che si ottiene sulla “politica del fare”. Su percorsi e obiettivi individuati di volta in volta, su cui far convergere tutto il consenso possibile, al di là dei colori, delle storie personali e via dicendo, per raggiungere prefissati obiettivi per il governo della polis, leggi Italia. Ciò presuppone un Pd sempre inquilino, meglio proprietario, di Palazzo Chigi.

Non è che l’opposizione interna a Renzi disdegni il governare. Anzi. Il problema è il modo. Le matrici identitarie servono per evitare calderoni opportunistici. Ma anche per dare ai cittadini esempi da seguire e idee da condividere. Il discrimine, insomma, non può essere la “politica del fare”, ma quella “dell’essere”.

L’esempio lampante dei due partiti all’interno del Pd ci viene dalla vicenda della stepchild. Matteo Renzi non ha esitato a cancellare dall’impianto della legge le adozioni gay pur di far varare la normativa. “Un buco nel cuore” per tanti dem che si erano spesi perché non ci fossero modifiche al testo concordato. Difronte però al rischio del pantano politico Renzi non ha esitato  a tagliare le parti contestate,  ipotizzando in un secondo momento una legge sulle adozioni. Il “pragmatismo del fare” ha prevalso su qualsiasi altra considerazione. La sinistra del partito, con  Pier Luigi Bersani, Roberto Speranza, Gianni Cuperlo, Miguel Gotor, Walter Tocci, un’operazione del genere non poteva accettarla perché venivano premiate, anche se momentaneamente,  le posizioni ideologiche della destra. Se poi a tutto ciò si aggiunge la fiducia al governo di Denis Verdini, il quadro si completa delineando quel Partito della Nazione che è in antitesi con il Partito basato sui fondamentali ideologici voluto dalla minoranza del Pd.

Roberto Speranza invoca un congresso anticipato per fare chiarezza, per  discutere l’identità del Partito democratico dopo la fiducia di Denis Verdini al governo. E nella richiesta dell’ex capogruppo della Camera c’è anche l’ipotesi della sua candidatura alternativa a Matteo Renzi. Dovrebbe essere  lui lo sfidante dei bersaniani per la segreteria. Nomina che dovrebbe arrivare con molta probabilità tra due settimane alla convention della minoranza di Perugia (11-12-13 marzo).

Comunque, o congresso anticipato o a scadenza naturale il tema di fondo sarà che tipo di partito dovrà essere il Pd. E tra le due impostazioni, quella diciamo ideologica e l’altra pragmatica renziana, c’è di mezzo il mare. Oggi è facile prevedere che con molta probabilità il congresso, anticipato o meno,  lo vincerebbe l’attuale segretario. Che succederà allora? I perdenti se ne faranno una ragione o infuriati sbatteranno la porta inventandosi l’ennesimo partitino?

C’è chi ricorda la vecchia Balena bianca in cui convivevano, certo facendosi la lotta, Carlo Donat Cattin (a volte più a sinistra della sinistra ufficiale) e Amintore Fanfani o Aldo Moro e la famiglia Gava, Silvio e Antonio. Altri tempi. Però allora il filo rosso (meglio bianco) che univa il partito era l’ideologica cattolica. C’è anche da ricordare l’esperienza dell’Ulivo di Romano Prodi con il Pds e la Margherita insieme, ma anche recentemente un fronte ulivista simile rappresentato da Pier Luigi Bersani e Enrico Letta. Resta il fatto incontrovertibile che quelle esperienze sono nei fatti – e soprattutto nei tempi –  superate.

Quale sarà allora il nuovo collante che eviterà al Pd di spaccarsi irrimediabilmente in due?

di Elia Fiorillo