non c'è libertà senza passione!

di Elia Fiorillo

Vignetta di Elena Manzini

I ricordi di  ragazzo sono quelli che rimangono più vividi nella testa. Basta un non nulla per  farli riapparire con una messa a fuoco, soprattutto nei dettagli, limpidissima. Nel leggere i tanti articoli che in questi giorni denunciano il degrado degli scavi di Pompei, mi è capitato di rivedermi giovanissimo proprio in quel sito archeologico straordinario. Percorrere le vie della città lastricate di pietra vulcanica; entrare ed uscire dalle tante case e negozi che affacciano su esse.  Trovarmi a sbirciare, nell’atrio della casa dei Vettii, l’anziano custode che con fare misterioso chiedeva alle visitatrici se fossero sposate. Le signorine ed i minorenni (per arrivare alla maggiore età allora ci volevano 21 anni)  venivano allontanati bruscamente dal sorvegliante, prima che aprisse una porticina misteriosa posta su di una cassetta sullo stipite destro della porta sull’atrio. Dietro quel paravento era nascosto un dipinto di Priapo nell’atto di pesare, su una coppa di bilancia, il suo enorme fallo; come contrappeso sull’altra invece era raffigurata una borsa piena di soldi. Negli anni sessanta la morale dell’epoca imponeva la copertura delle nudità e soprattutto dei tanti simboli fallici disseminati un po’ dovunque: sul lastricato delle strade utilizzati come frecce direzionali per indirizzare  al lupanare più vicino, o sui portali delle case come simbolo fortunato portatore di prosperità. Già allora il degrado era  visibile sia per i calcinacci che potevi trovare un po’ dovunque, ma anche per le tante piante parassite che avvinghiavano le case, i monumenti, le strade. Un verde non simbolo di vita, ma omicida di storia che infestava ogni angolo, ogni fessura in un abbraccio esiziale. Poi c’erano colonie di cani randagi disseminatori d’escrementi in ogni dove. Ed, ancora, puntelli sui muri pericolanti e divieti d’accesso. Con il passare degli anni la situazione non migliorò, tanto da far scrivere ad un giornale, se non ricordo male tedesco, che quel “patrimonio dell’Umanità” doveva essere di nuovo sotterrato come aveva fatto il Vesuvio con l’eruzione del 79 dopo Cristo  se lo si voleva lasciare in eredità ai posteri. Colpa della superficialità degli Italiani che non si meritavano tanto ben di Dio. Le reazioni all’articolo furono indignate e le risposte sferzanti, proprio perché la coda di paglia noi italiani l’abbiamo ed in cuor nostro sappiamo le verità che pubblicamente neghiamo con decisione eccessiva. Più recentemente pare che un sovrintendente buontempone, ma mica tanto, avesse messo  in giro la voce che Pompei era un luogo  dannato. Chi portava a casa ricordi recuperati nella città distrutta dal Vesuvio avrebbe avuto eterni guai. I “ricordini” – sassi, amorini, cocci di vaso, schegge di dipinti – dovevano tornare  al loro posto. La cosa pare abbia funzionato più dell’assunzione di cento guardiani. I reperti sono tornati al mittente copiosi un po’ da tutte le parti del mondo.

            Ultimamente è scesa in campo la “Protezione civile” per l’emergenza degrado, come se fossimo a ridosso del terremoto  avvenuto 1931 anni fa e ci fosse bisogno d’iniziative d’urgenza. Le “urgenze” sono lì  ben in vista da cinquant’anni, che io ricordi. Ancora una volta a problemi strutturali si dà una risposta emergenziale che mette in moto spirali perverse di clientelismo, di abusi, di superficialità, d’ignoranza, di superamento degli organi preposti ai controlli come se questi fossero i veri colpevoli di rallentamenti e di mancanza d’azione. E mette in pace, soprattutto, le coscienze dei responsabili politici “che hanno fatto di tutto”, con il commissariamento, per risolvere gli atavici problemi in campo. La cosa strana che i “commissariati” non vengono puniti per errori o ritardi o per le cose non fatte. Come nessuna norma viene ipotizzata per accelerare percorsi, per impostare soluzioni, insomma per cambiare quello che si è ritenuto che non abbia funzionato. A Pompei, può sembrare strano, ma  c’è solo bisogno di una banale normalità. Il problema da risolvere è come arrivarci.

            Ogni giorno, più o meno, Pompei ha diecimila visitatori quasi quanti erano i suoi abitanti all’epoca della distruzione. Questi provano a visitare i sessantacinque ettari di beni archeologici a cielo aperto, patrimonio dell’Umanità, tra non poche difficoltà. Dai cessi non proprio agevoli, ai tanti siti chiusi, dall’Antiquarium  ad uno dei gioielli preziosi della città, la casa dei Vettii, o alle Terme. L’immagine che si porteranno a casa è d’immensa bellezza unita a sciatteria, purtroppo. Ma anche di vera preoccupazione che quell’immenso patrimonio non si conserverà per molto tempo, per via di mancanza di protezione. Senza coperture, giorno dopo giorno, il sole e la pioggia sbricioleranno in polvere quelle bellezze. Ci vuole un vero progetto di salvaguardia per Pompei possibilmente bipartisan. Il più “straordinario rudere classico del mondo” non ha bisogno di polemiche, ma di un percorso di messa in sicurezza e di catalogazione anche dei suoi “tesori nascosti” ammassati nei depositi del Museo Nazionale di Napoli e della stessa Pompei.

            Ercolano, Oplonti, Pompei  sono anche reali possibilità di lavoro per i tanti disoccupati che l’area registra. Un disegno strategico potrebbe affrontare la questione anche per eliminare l’attuale fenomeno turistico del “mordi e fuggi”. Una legge straordinaria per Pompei? Dati gli immensi valori culturali in campo è auspicabile. Come è auspicabile, se non cambia la musica da parte italiana, che l’Unesco si decida ad inserire Pompei nella  sua “Danger list”. Ciò consentirà alla Comunità internazionale  di farsi carico del problema ed agire indipendentemente dal nostro Paese. Brutta figura per l’Italia? Ben venga se si riuscirà a salvare quest’eccezionale patrimonio dell’Umanità.