non c'è libertà senza passione!

di Elia Fiorillo

foto di Elia Fiorillo

Uno come me che ha vissuto tanto tempo a Napoli, dovrebbe meglio di altri immedesimarsi nella multicolore, frenetica, San Paolo del Brasile. E pensare che la zona di Napoli dove ho lavorato per un gran numero di anni non era delle più tranquille. Mi riferisco a Forcella dove tutto, almeno qualche anno fa, ti poteva capitare. In una sola situazione non c’era possibilità alcuna d’imbattersi: nella monotonia; nella normalità.

Insomma, pur essendo allenato al caos quotidiano di Napoli, all’estemporaneità della vita, alla sommatoria dei colori che diventano abbacinanti fino al punto di farti girar la testa, qui a San Paolo, lo confesso, mi perdo. Sarà perché è la città più grande del Brasile, con un’area di 10.190 km quadrati e con una popolazione residente di 23 milioni di persone; di fatto con questi numeri è tra le aree urbane più rilevanti del mondo. Sarà perché si passa repentinamente dalle viuzze zeppe di negozi dove puoi trovar di tutto, agli spazi incommensurabili dove grattacieli atipici e spesso isolati sembrano sentinelle allibite nel guardare la babele sottostante. Dal dettaglio si passa allo smisurato, per ritornare al piccolo, che spesso ha in se bellezze non apparenti da esplorare. E così è per tutto, dalla paccottiglia, alla raffinatezza sublime. Dai cibi “mordi e fuggi” che puoi gustare nel caratteristico Mercado municipal de Sao Paulo, dove un’umanità multietnica ed affamata, nonché soprattutto allegra, si contende una sedia, un tavolo sullo sterminato soppalco, costruito nel Mercato nel 2004 dall’architetto Peter Paul Saraiva de Mello, dove sono collocati in stretta congiunzione diversi chioschi di vendita di alimenti e bevande. La funzione di Mercato, questo splendido edificio, costruito in stile eclettico tra il ’28 ed il ’33, la possiede ancora. Si commercializza frutta, verdura, cereali, carne, spezie e altri prodotti alimentari. Ma più che Mercato questo luogo è ormai diventato un punto, affollatissimo, d’incontro, di socializzazione per indigeni e non.

Un po’ di fatica l’ho fatta per conquistarmi un posto al chiosco dove ho scoperto che la specialità del posto era pane e baccalà, o una pastella fritta riempita sempre di baccalà. Sarà stata la fame, il clima d’eterna festa che si respirava sul soppalco, ma la pastella col baccalà, anche se certamente non fritta con olio extravergine d’oliva italiano, era ottima.

foto di Elia Fiorillo

Girando per San Paolo mi viene in mente il grande filosofo napoletano, Benedetto Croce, quando definiva i napoletani dei diavoli, nel bene e nel male. Persone eccezionali o poco di buono, ma sempre diavoli. Anche qui le mezze tinte non esistono. E in una città così complessa non potevi non trovare uno dei musei d’arte più importanti del Brasile, e non solo. Nella pinacoteca do Estado de Sao Paolo ti imbatti in una impressionante collezione di arte brasiliana, principalmente del diciannovesimo e ventesimo secolo. Vi sono oltre 5000 dipinti e sculture che rappresentano tutti i maggiori artisti e movimenti brasiliani. Nella metà degli anni novanta la pinacoteca fu rinnovata dal famoso architetto Paolo Mendes de Rocha, che trasformò l’edificio neoclassico in una struttura piena di luce e spazio che combinati insieme producono un effetto d’esaltazione dei colori e delle tonalità dell’arte brasiliana. Non meno significativo è il Museo d’arte di San Paolo fondato nel 1949, tra l’altro, dal giornalista e critico d’arte italiano Pietro Maria Bardi che per 45 anni ne è stato il curatore. Diverse le opere esposte di grandi artisti italiani tra cui Bellini, Mantegna, Botticelli, Raffaello, Tiziano, Tintoretto. Non pensavo nel visitare il museo di trovare tre mostre tutte italiane, da Giorgio De Chirico, alla Roma Imperiale eppoi ad una collezione di foto della Pirelli.

Guarda caso l’edificio più alto di san Paolo porta il nome “Italia”. E’ uno dei migliori punti d’osservazione della metropoli. La costruzione sorge nel centro della città paulista, subito a sud di Praca do Republica. L’ultimo piano del grattacielo Italia è occupato da un ristorante, il Terraco Italia. Sono tentato di fermarmi a mangiare, anche se pare che i costi siano altini. Ma decido di andare a passeggio all’Avenida Paulista. Cuore pulsante della città, viene paragonata alla Fifth Avenue di New York, anche se è una zona di commercio e di affari. Una volta Avenida Paulista era piena di case in stili diversi, ma tutte preziose. Questa strada era l’indirizzo più ambito dei grandi magnati brasiliani o dei produttori di caffè. Poi, dopo la seconda gierra mondiale, subì una demolizione in grande scala. Oggi, comunque, può considerarsi il primo simbolo di prosperità di San Paolo con i suoi grattacieli.

Una delle tante cose che mi ha colpito di San Paolo sono i tassisti. Di taxi ce ne sono ad iosa, e costano pure caro, ma è la guida spericolata dei conducenti che mi ha fatto venire i brividi. Anche in questo caso le mezze misure non esistono: diavoli sempre. O sono attentissimi ai semafori, alle indicazioni stradali, a volte anche in modo eccessivo, o per converso… non c’è segnale che tenga. Ovvero, non c’è semaforo rosso che spaventa e blocca il tassinaro. E’ come se nel vedere il rosso si ponesse il problema di un possibile blocco psicologico inibente, una regola da non rispettare, allora, a salvaguardia della propria psiche. E via senza paura di poter beccare un’altra autovettura. Pensate alla faccia del passeggero vicino al conducente: livida è dir poco.

Per quanto riguarda il mangiare c’è solo l’imbarazzo della scelta. C’è ovviamente di tutto e di più. Nel mio soggiorno a San Paolo di ristoranti ne ho visitati parecchi. Due mi sono rimasti particolarmente impressi. Il primo è il Fogo De Chao, Sao Paulo Moema, dove puoi gustare carne di tutti i tipi. L’ambiente è elegante ed il servizio di grande efficienza. Il rapporto poi qualità prezzo è equilibrato. Nessun eccesso.

A forza di far raffronti con l’Italia e con Napoli, mi è venuta un’idea forse non troppo originale e cioè quella di andare a cercare una pizzeria. C’è un vecchio detto che impone a chi gira il mondo di non chiedere mai pietanze della propria terra. Non è originale. Bisogna assaporare i cibi locali e godere dei sapori nuovi che essi ti regalano. In linea di massima questo principio va bene. Ma sotto sotto forse c’è anche il convincimento che solo a casa propria si può mangiare una pasta con le vongole eccezionale. In altre località dell’universo quella pastasciutta sarebbe qualcosa di orribile, d’immangiabile. Quindi, lasciar perdere i piatti conosciuti e cibarsi di specialità del posto.

Il ragionamento che mi sono fatto è proprio l’incontrario e cioè che non è vero che certe prelibatezze le puoi gustare solo nella loro terra d’origine. A Napoli, ad esempio, la pizza e gli spaghetti a vongole, ecc.. Io sostengo che la globalizzazione ha fatto sì che anche i prodotti di grande qualità circolassero, fossero conosciuti ed apprezzati. Con questa idea in testa entro nella Forneria don Pepe di Napoli, in av. Arapanes. Il luogo è accogliente. Ordino una classica pizza Margherita, che simbolicamente ha i colori della bandiera italiana, bianco (la mozzarella), rosso (il pomodoro), verde (il basilico). I camerieri mi propongono, prima della pizza, antipasti e cose varie tutte made in Italy. Io rifiuto categorico. Non perché non ritengo saporose quelle specialità, ma la pizza va gustata, secondo me, prima di ogni altra cosa. Aspetto un po’ ed ecco la “Margherita” napoletana con il suo profumo inconfondibile. E’ buona, è proprio buona anche se siamo a San Paolo del Brasile a parecchi chilometri da Napoli.