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di Adriana Matone

Il 20 giugno la Corte Costituzionale esaminerà la legge 194 sull’aborto: sarà messa in discussione la validità dell’art. 4 sulle circostanze che legittimano l’interruzione di gravidanza.

Foto di Riccardo Cattani

Tutto è partito dal caso di una ragazza di Spoleto di 17 anni che si è rivolta al consultorio e ha manifestato la sua volontà di abortire, senza coinvolgere in questa sua decisione i genitori.
Nelle relazioni dei servizi sociali citati negli atti del giudice tutelare dei Tribunale di di Spoleto, la ragazza viene descritta come motivata da «chiarezza e determinazione», convinta di «non essere in grado di crescere un figlio»; il giudice minorile, però ha sollevato incidente di costituzionalità, riguardo quanto indicato dalla Corte Europea per i diritti dell’uomo sulla tutela assoluta dell’embrione umano.
Secondo il giudice, infatti, nell’ordinanza emessa il 3 gennaio scorso, la facoltà prevista dall’articolo 4 della legge 194 di procedere volontariamente all’interruzione della gravidanza entro i primi 90 giorni dal concepimento, comporta «l’inevitabile risultato della distruzione di quell’embrione umano che è stato riconosciuto quale soggetto da tutelarsi in modo assoluto» (affermazione basata sulla sentenza della Corte di giustizia dell’Ue del 18 ottobre 2011) e ha quindi chiesto alla Consulta di valutarne la legittimità costituzionale.

Proprio in conseguenza di questa sentenza l’articolo 4 si porrebbe in contrasto con i principi generali della Costituzione ed in particolare con quelli della tutela dei diritti inviolabili dell’uomo (articolo 2) e del diritto fondamentale alla salute dell’individuo (articolo 32 primo comma della Costituzione). Altre obiezioni sono state formulate con riferimento agli articoli 11 (cooperazione internazionale) e 117 (diritto all’assistenza sanitaria e ospedaliera) della Costituzione.

Quello giurdico però non è il solo fronte di battaglia in cui è impegnata la legge 194. C’è infatti un nemico, forse anche più duro, che negli ultimi anni sta osteggiando il diritto alle donne di abortire, ed è il fronte degli obiettori di coscienza.
Secondo il Ministero della Salute, 7 medici su 10 si rifiutano di praticare l’aborto. L’esercito degli obiettori sta crescendo a dismisura: si è passati dal 58,7 per cento del 2005 al 70,7 per cento del 2009 per quanto riguarda i ginecologi, per gli anestesisti dal 45,7 per cento al 51,7 per cento e per il personale non medico dal 38,6 per cento al 44,4 per cento. In alcune parti del nostro paese la quota degli obiettori è praticamente schiacciante. Al Sud ci sono ospedali completamente obiettanti e in altre zone la percentuale di chi rifiuta di interrompere la gravidanza sfiora l’80 per cento.

Praticamente, il diritto della donna ad abortire è ostacolato in vario modo in base alla regione di residenza. Ecco perché lo scorso 8 giugno Aied e Associazione Luca Coscioni hanno inviato a tutti i Presidenti e assessori alla sanità delle Regioni un documento sulle soluzioni da adottare per garantire la piena efficienza del servizio pubblico di Ivg.

Naturalmente anche la rete si è mobilitata a difesa del diritto all’aborto. Su Twitter impazza da giorni l’hashtag #save194, che raccoglie il consenso di laici e cattolici, donne e uomini. Da Roberto Saviano al popolo delle Donne Viola, dalla Cgil ad Antonio Di Pietro all’Aied e il Corpo delle donne e i tanti utenti della rete, il monito è uno solo: salvare la legge 194 ed evitare in tutti i modi il ritorno all’aborto clandestino.
Difendere la legge 194 non vuol dire essere contro la vita o scegliere l’interruzione volontaria di gravidanza come sistema di pianificazione familiare, ma ha il solo significato di assistere la donna in questo momento al fine di sottrarla al mercato nero dell’aborto clandestino, non vuole dire ammazzare ma tutelare una vita, di modo che la donna abbia la libertà di compiere le sue scelte autonomamente tutelata dallo Stato.