«Ma c’è ancora spazio per gli storici, i filologi, i filosofi, gli artisti in questo Paese? L’Italia ha deciso di fare a meno del pensiero e della bellezza? Dobbiamo continuare a vergognarci di aver scelto una strada che ha un valore scarsamente produttivo, almeno nel senso stretto del termine? Perché non parlate più della tutela del patrimonio storico e artistico del nostro Paese? Perché mi costringete a scappare e a rinunciare allo studio del passato della mia terra?».
Così recita la lettera di Chiara Pulvirenti, ricercatrice precaria di Storia contemporanea alla facoltà di Scienze politiche di Catania, al presidente della Camera Laura Boldrini. Una lettera scritta sull’onda dell’emozione suscitata in lei dall’incontro della Boldrini con i ricercatori dell’Università di Catania lo scorso autunno. Una lettera che racconta di un sogno: «scrivere e narrare, riuscire a catturare la potenza creatrice della parola e farne valore tangibile».
Una lettera che narra di un’urgenza: comunicare l’importanza di una passione civile e della buona politica. Una passione civile che prende corpo in un libro ispiratole dalla figura di Altiero Spinelli che ha ricevuto il premio Matteotti. Chiara Pulvirenti è una giovane donna che ha sempre creduto nel valore delle istituzioni e non ha mai ceduto di fronte al becero qualunquismo che qualifica “sporca” la politica, quella politica che papa Paolo VI definiva «la più alta forma di carità».
Dopo aver vinto il dottorato di ricerca nel 2008, Chiara continua a scrivere e a studiare portando alla luce il passato, tutt’altro che immobile, di una terra come la Sicilia che è stata la patria di una Costituzione d’avanguardia e culla di filosofia, scienze, letteratura. In questa lettera Chiara parla di un destino amaro a cui i ricercatori italiani sono condannati: studiare, studiare, studiare ma senza ricevere alcun riconoscimento e senza un futuro sicuro dinanzi a loro. Chissà quando uscirà un concorso, chissà quando poter ricevere uno stipendio all’altezza dell’impegno e dello studio profusi… La sua vocazione per la ricerca è sempre stata accompagnata dal senso di colpa: «A che serve la storia in tempi di crisi? A chi dovrebbero interessare le mie ricerche e perché? Chi dovrebbe investire sulla mia carriera e sul mio futuro? A chi serve il mio sogno?», si chiede Chiara.
In un Paese che non investe sulla cultura e sui giovani, in cui la ricerca, soprattutto in area umanistica, non viene valorizzata ma bistrattata e relegata in un angolo, Chiara, come tanti altri ricercatori precari, resiste perché vuole restare in Italia per raccontare la storia del suo Paese alla sua gente. È grazie a persone come lei che non si rassegnano e restano anziché scappare via, che l’Italia può sognare un domani migliore.
di Chiara Selleri