di Anna Caterino
Pochi giorni fa la Cassazione ha emesso una sentenza che prevede forme alternative alla custodia cautelare per chi viene accusato di stupro di gruppo. Le prime indignazioni sono arrivate dal mondo politico. L’onorevole Alessandra Mussolini ha detto la sua, considerando tale decisione pericolosa e umiliante per la vittima, visto che in attesa del giudizio l’indagato potrebbe avvicinarla e minacciarla. Anche le associazioni per i diritti delle donne sono scese in campo più agguerrite che mai. Ad esempio l’avvocato Bongiorno – cofondatrice con la showgirl Michelle Hunziker dell’onlus “doppia difesa”, associazione a tutela delle donne vittime di violenze e molestie che non riescono a difendersi o non hanno i mezzi per farlo – ha espresso profondo dissenzo.
In realtà la Corte di Cassazione non ha fatto altro che proporre di estendere ai casi di stupro di gruppo una norma già esistente dal 2010. Tale norma fu creata per porre rimedio ad un’anomalia di una legge del 2009 che imponeva ai magistrati di applicare come unica forma cautelare verso “gli indagati” il carcere. Questo però non assicurava che tutti gli accusati vi ci finissero. Anzi, al contrario, laddove non c’erano gli estremi per una carcerazione – e dove prima si sarebbe ricorso ai domiciliari-, i rei sarebbero stati liberi. Quindi, ritenendo anticostituzionale limitare la libertà di valutazione dei magistrati, si è corso ai ripari con la norma in parola. A spingere poi la Cassazione all’estensione è stato un particolare ricorso fatto da due sedicenni di Sora accusati di stupro verso una loro coetanea. I due, in attesa dell’iter giuridico, dovevano stare in carcere secondo l’ordinanza del Tribunale del riesame di Roma . La Cassazione ha annullato l’ordinanza ritenendo che fossero violati alcuni articoli della Costituzione quali il 3° (uguaglianza davanti la legge), il 13° (libertà personale), il 27° (funzione della pena). Così facendo il giudice dovrà rivedere le proprie scelte tenendo conta della nuova norma.
Di certo, dato l’aumento di crimini sessuali tra cui quelli ad opera dei branchi, sarebbe stata più opportuna una riforma delle pene che una tale variazione della normativa. Risulta quasi una crudele beffa per le donne italiane che ancora una volta non si sentono protette dal proprio Paese. Già i tempi di giustizia sono eterni e costringono le vittime di violenza sessuale a rivivere il proprio dramma per anni, prima di vedere condannato definitivamente il colpevole. Saperlo anche (in questo lasso di tempo e a discrezione del magistrato) fuori dal carcere, risulterebbe un ulteriore violenza.
E’ sull’onda delle attuali potreste che magari si potrebbe arrivare a qualcosa di più concreto nella salvaguardia della donna. Le nostre donne in politica non devono limitarsi a storcere il naso, ma lavorare su proposte di legge che rasentino la tolleranza zero verso le belve che si macchiano di tali reati. D’altronde solo una donna può comprendere la feroce ansia che si prova nel trovarsi in posti isolati o in luoghi pubblici poco illuminati. Ogni giorno le donne sono limitate nella propria libertà personale per non correre rischi o attirare attenzioni indesiderate. Che una miglioria possa partire da una polemica? Chissà…