di Giuseppina Amalia Spampanato
L’Italia trionfa alla 62° edizione del Festival di Berlino. Orso d’oro ai fratelli Paolo e Vittorio Taviani per Cesare deve morire. Una vittoria importante che riempie d’orgoglio e che arriva a ben ventuno anni di distanza da quella nel 1991 di Marco Ferreri con La casa del sorriso. L’Orso d’oro segna un riconoscimento alla grande tradizione del cinema italiano di cui i Taviani sono da sempre grandi testimoni nel mondo. A proclamare la vittoria è stato il presidente della giuria, Mike Leigh. Un successo condiviso e applaudito da tutti: il film è stato accolto da una standing ovation sia dal pubblico che dalla critica. Già premiati due volte a Cannes con la Palma d’oro nel 1977 per Padre Padrone, tratto dal romanzo di Gavino Ledda, e il Grand Prix Speciale della Giuria nel 1982 per La notte di San Lorenzo, i fratelli Taviani conquistano la Berlinale nella sezione “Fine pena mai” con un film girato in sei mesi all’interno del carcere di massima sicurezza di Rebibbia, a Roma, e interpretato dagli stessi detenuti. La pellicola in bianco e nero racconta la storia di un gruppo di carcerati alle prese con la messa in scena del Julius Caesar di Shakespeare. La pièce teatrale prende forma man mano sotto l’attenta e scrupolosa regia di Fabio Cavalli, che da anni segue i detenuti nella messa in scena di drammi. Ciascun attore-detenuto ha mantenuto il proprio dialetto e, pur restando fedele alle parole di Shakespeare, sembra raccontare, attraverso la lingua originaria e il volto segnato dalla sofferenza e dagli errori, storie di mafia e camorra, potere e violenza, per cui deve scontare la propria pena. Cesare deve morire è a metà tra un documentario ed un film: dietro la messa in scena del dramma teatrale viene raccontata la vita dei detenuti nelle loro celle, offrendo uno spaccato su una realtà dura e difficile. Una tematica sociale impegnativa quella affrontata dai due grandi cineasti, che giunge in un momento particolare, proprio mentre in Italia si discute sul decreto «svuota carceri» per affrontare la gravosa questione del sovraffollamento nelle nostre prigioni. Cesare deve morire manda un segnale di speranza e riscatto. È capace di toccare profondamente le coscienze umane, invitando tutti a riflettere. Belle sono state le parole di Vittorio Taviani: “Spero che qualcuno tornando a casa dopo aver visto Cesare deve morire pensi che anche un detenuto, su cui sovrasta una terribile pena, è e resta un uomo. E questo grazie alle parole sublimi di Shakespeare”. Dalle luci della ribalta alla solitudine delle celle, per un attimo le distanze sembrano esser state annullate da un progetto comune, dalla voglia di raccontare una realtà complessa e attuale, tra rispetto della giustizia, desiderio di riscatto e durezza della pena. Complimenti arrivano da tutte le istituzioni, dal presidente della Regione Lazio, Renata Polverini, al sindaco di Roma, Alemanno, dal presidente Rai Garimberti a Raicinema che co-produce il film. Il ministro per i Beni e le Attività culturali, Lorenzo Ornaghi, si è congratulato personalmente con i fratelli Taviani, attraverso una telefonata, per il prestigioso riconoscimento, definendolo un segnale di ottimismo ed incoraggiamento per tutto il Paese, per rafforzare l’impegno e le risorse del mondo culturale, dando sempre più stimoli alla creatività italiana. Vedere confermati a livello internazionale il talento di due indiscussi maestri del cinema è un monito per tutti, per continuare a credere e confidare nella bellezza della poesia e della genialità italiane. Grande soddisfazione anche per Diaz – Non pulire questo sangue di Daniele Vicari, con Claudio Santamaria ed Elio Germano, che ha ricevuto il premio del pubblico della sezione Panorama. Il film rievoca una delle pagine più nere della democrazia italiana: gli scontri tra poliziotti e manifestanti nella scuola Diaz durante il G8 di Genova 2001. La pellicola uscirà nelle sale italiane il prossimo 13 aprile. È l’Italia migliore che viene premiata a Berlino, quella dell’impegno sociale e civile, che non teme di affrontare problemi scottanti, risveglia gli animi assopiti e spinge tutti a fare i conti con una vita piena di contraddizioni e difficoltà. In tempi di crisi bisogna scommettere fortemente sulla cultura, unico strumento per non rischiare la deriva, raccontare il presente e guardare al futuro.