di Elia Fiorillo
Parlamentari di diversi partiti hanno fatto ricorso contro la delibera della Camera che sancisce il passaggio al sistema contributivo.
Confesso che il termine “autodichia” non l’avevo mai sentito pronunciare. Colpa mia. Credo che come me molti italiani non si siano mai imbattuti in esso. Significa: ”capacità degli organi costituzionali di risolvere, all’interno della propria amministrazione, le controversie concernenti personale dipendente, senza adire tribunali esterni” (Wikizionario). Il termine autodichia l’ho appreso leggendo del malumore di un po’ di nostri rappresentanti al Parlamento. Il problema posto è se sia giusto che i parlamentari vadano in pensione a sessant’anni. Mi riferisco, s’intende, ai vitalizi dei deputati e non dei comuni mortali. I sessant’anni quelli, i lavoratori comuni, se li sono già lasciati dietro da un pezzo.
Per farla breve, un po’ di onorevoli, pare diciotto, hanno presentato ricorso avverso alla delibera dell’Ufficio di presidenza della Camera che il 14 dicembre ha riformato il sistema dei vitalizi. La discussione in fatto di pensionamenti è ancora in corso e si può ben capire il perché. Prima del pronunciamento dell’Ufficio di presidenza, il vitalizio veniva concesso al raggiungimento dei cinquant’anni d’età. Oggi, al di là delle legislature, si dovrebbe andare in pensione a sessant’anni. E qui entra in campo l’autodichia ed il ”Consiglio di giurisdizione” che fu istituito dal presidente della Camera Luciano Violante nel 1998. E’ un organo di primo grado che consente di presentare ”…ricorsi e qualsiasi impugnativa, anche presentata da soggetti estranei alla Camera, avverso gli atti di amministrazione della Camera…”. (art. 1 del regolamento per la tutela giurisdizionale non concernente i dipendenti).
Insomma, i diciotto parlamentari designati dal popolo, sentendosi defraudati, hanno fatto ricorso al Consiglio che è composto da tre deputati. Presidente è Giuseppe Consolo di Fli. Deputati membri sono: Tino Iannuzzi, Pd, e Ignazio Abrignani, Pdl. Ci sono poi tre membri supplenti che sostituiscono i titolari in caso d’impedimento di questi ultimi. C’è anche il Consiglio di giurisdizione d’appello, il cui presidente è Maurizio Paniz, Pdl, con quattro deputati membri. Onorevoli che giudicano ricorsi di altri onorevoli? Si, proprio così. E la materia del contendere non è di poco conto. E’ argomento sensibile per l’opinione pubblica che sulla propria pelle ha appena subito modifiche all’età pensionabile.
La maggior parte dei nomi dei diciotto inquilini ”ricorrenti” di Montecitorio non si conosce. Top secret. Pare che tra gli appellanti ci sarebbero rappresentanti un po’ di tutto l’arco costituzionale. C’è la privacy che non va violata. L’unico che ha rotto il fronte del silenzio e che ha ammesso il passo fatto – e comunque va apprezzato per questo – è l’ex sottosegretario del governo Berlusconi, Roberto Rosso, di cinquantuno anni, alla sua quinta legislatura. Il suo ragionamento è che i diritti acquisiti non si possono toccare, sono intangibili. Dalle sue argomentazioni difensive parrebbe che i parlamentari siano diventati dei soggetti che non hanno più parità di diritti con gli altri cittadini. Ne hanno di meno di diritti, non di più. Insomma, tutto il contrario di quello che nell’immaginario collettivo si ritiene.
I deputati di responsabilità ne hanno tante legate al loro delicato ufficio. Non sono cittadini comuni. Hanno scelto loro di fare i rappresentanti del popolo. Oneri ed onori, come si sul dire. E gli oneri, per il parlamentare scrupoloso, sono superiori agli onori. Lavorare per il bene comune non è cosa facile. Le altra qualità che un rappresentare del popolo deve avere è di essere opportuno e realista. Opportuno, non opportunista. Pensare che con un ricorso si possa ribaltare una situazione che con sano realismo l’Ufficio di presidenza della Camera dei deputati ha assunto, non solo non è opportuno, è anacronistico.
Il Governo in carica ha messo le mani nelle tasche dei soliti noti, lavoratori dipendenti in primis; ha toccato l’età pensionabile ”senza se e senza ma”; si sta battendo per operazioni di liberalizzazioni epocali per ”salvare l’Italia”, eppure qualche rappresentante di quei soggetti tartassati si sofferma sul proprio particolare, invocando i ”diritti acquisiti”. Sarà interessante seguire l’iter del ricorso per capire come andrà a finire. Se cioè i diritti acquisiti sono tali per il ceto politico e non per i comuni cittadini.